Succede, a un certo punto. Dopo tanto tempo a setacciare il dolore, a darci il permesso di sentirlo, a riconoscerlo in tutte le sue sfumature, arriva lei: la gioia.
Fa capolino in punta di piedi e, invece di accoglierla a braccia aperte, ci irrigidiamo. È uno strano paradosso: possiamo aver desiderato la felicità per anni, eppure, quando finalmente ci sfiora, ci sentiamo a disagio.
Perché? Spesso accade perché non siamo tanto abituati.
La gioia come ospite inattesa
Abbiamo imparato a stare nel dolore. Con fatica, certo, ma abbiamo acquisito strumenti per riconoscerlo, dargli un nome, attraversarlo senza farci travolgere. E invece la gioia? Quella ci sorprende, ci lascia scoperti.
Pensiamo a un momento di pura felicità: una promozione, un complimento sincero, una giornata che fila liscia dopo mesi di tempesta. C’è quel primo slancio di entusiasmo, e poi, quasi senza accorgercene, lo smorziamo. Non dura, meglio che non mi faccio troppe illusioni, meglio non abituarsi
Quasi come se la felicità fosse pericolosa, un inganno pronto a svanire sotto i nostri occhi.
Il permesso di essere felici
Ci portiamo dentro vecchi messaggi, spesso inconsapevoli: non montarti la testa, non essere troppo felice perché poi arriva la delusione, se stai bene non è carino mostrarlo a chi magari soffre. È come se la felicità dovesse sempre essere giustificata, o potesse scomodare qualcuno
In terapia e nel lavoro su di noi ci concentriamo a lungo sulla sofferenza, e va bene così: per attraversarla dobbiamo darle spazio. Ma poi, quando finalmente arriva un po’ di luce, sappiamo davvero cosa farcene?
Abbiamo bisogno di darci un permesso: il permesso di stare bene. Di godere senza sensi di colpa. Di lasciarci contagiare dalla leggerezza senza la paura che ci renda superficiali.
Qualche tempo fa Anna mi raccontava che era in macchina, tornando a casa dopo una giornata qualsiasi. Nulla di speciale, solo la routine di sempre. Poi, all’improvviso, la radio ha passato una canzone che amava da ragazzina, una di quelle che, anni prima, la faceva ballare e cantare a squarciagola. Senza pensarci, la mano è corsa al volume, alzandolo di qualche tacca. Il corpo si è mosso da solo, la voce è uscita forte, senza filtri. Un lampo di leggerezza, una scarica di energia che l’ha attraversata senza preavviso.
Eppure, appena un attimo dopo, qualcosa l’ha fermata. Un pensiero rapido, come una frustata. Che ridicola che sono! Sembro un’adolescente! Meglio non farmi prendere troppo la mano.
E così, la gioia si è ritratta. Le capita spesso, mi dice. Come se non fosse suo diritto restare, come se dovesse essere sorvegliata, misurata, trattenuta. Come se non fosse permesso stare davvero bene.
Serena invece mi ha raccontato qualcosa di simile, con un vissuto diverso ma la stessa esitazione nel lasciar spazio alla gioia. Dopo una separazione dolorosa, mesi di pianti e di senso di fallimento, un giorno si è accorta di sentirsi leggera. Ha respirato a fondo, ha guardato il sole filtrare tra le foglie del terrazzo, ha sentito un benessere inaspettato nel corpo.
Ma subito dopo è arrivato il senso di colpa. “Come posso stare bene? Non dovrei soffrire ancora? Se provo sollievo, significa che sono superficiale e non sto dando abbastanza importanza a quello che è successo?”
E invece, quella sensazione era reale. Non cancellava il dolore passato, non sminuiva la relazione vissuta. Era semplicemente il segnale che la vita andava avanti, che c’era spazio anche per qualcos’altro oltre alla sofferenza.
La felicità non è qualcosa che possiamo controllare o trattenere, ma possiamo imparare a farle spazio.
Anche quando arriva in macchina, senza preavviso, con una vecchia canzone alla radio. Anche quando si insinua dopo un lungo periodo di dolore, portando sollievo e leggerezza. Anche quando ci fa un po’ paura.
Anche la gioia richiede cura
La gioia non è solo un istante fugace: è qualcosa che possiamo coltivare. Ha bisogno di spazio, di riconoscimento, di allenamento.
Come possiamo iniziare a coltivarla?
- Notandola. Anche nei dettagli più piccoli: un raggio di sole sul viso, una risata spontanea, un attimo di pace.
- Dandole tempo. Non spegniamola subito con il pensiero che non durerà. Piuttosto, facciamole spazio, lasciamola espandere.
- Condividendola. La gioia non è egoista, è un’emozione sociale, si moltiplica quando viene condivisa.
- Non sentendoci in debito. La nostra felicità non toglie nulla a nessuno. Non dobbiamo meritarcela, è un’emozione come un’altra.
La gioia è un muscolo che possiamo allenare, un luogo che possiamo abitare con maggiore familiarità.
Forse non sempre siamo abituati, ma possiamo imparare. Se ci è possibile, non guardiamola con sospetto e iniziamo a prendercene cura.
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