Mi sveglio presto, con la lista delle cose da fare già in testa. Per prima cosa un caffè, mentre scorro con la mente gli impegni della giornata. Una parte di me spera che tutto vada come previsto. Che nessuno arrivi in ritardo. Che i figli collaborino. Che quel progetto si concluda come spero. Che il mio corpo regga. Che la vita segua il copione.
Ma poi -forse succederà anche a te- qualcosa deraglia sempre. Il traffico, una febbre improvvisa, una parola sbagliata. Il nostro piano perfetto si incrina.
E ci ritroviamo lì, tesi, frustrati, con una fatica sottile che ci pesa addosso — quella di dover tenere tutto insieme, sempre.
Marco ad esempio, si era promesso che quest’anno si sarebbe preso più tempo per sé. Aveva persino comprato un abbonamento in palestra, deciso a ritagliarsi un’ora tre volte a settimana, a fine giornata. Aveva immaginato di tornare a casa dopo l’allenamento con la mente sgombra, il corpo più leggero, il sorriso sulle labbra.
Poi sono arrivati gli straordinari, la richiesta di occuparsi del progetto urgente, la cena da preparare, il figlio con i compiti in arretrato. Ogni volta che saltava l’allenamento, sentiva crescere dentro una voce dura: “Non riesco mai a mantenere ciò che mi prometto.”
Fino a quando, una sera, si è accorto che stava difendendo un’idea di sé -efficiente, impeccabile, sempre coerente- più che ascoltare davvero di cosa aveva bisogno.
Quella sera ha scelto di non andare in palestra, ma di fare una camminata lenta sotto casa, senza fretta.
Ha cominciato a chiedersi: “E se smettessi di misurarmi con ciò che avrei dovuto essere… e mi incontrassi, semplicemente, dove sono?”
Aspettative come esercizio di controllo
Le aspettative, spesso, nascono dal desiderio di sentirci al sicuro. Immaginiamo come dovrebbe andare. Come dovremmo essere. Cosa dovremmo aver già realizzato, capito, superato. Costruiamo scenari. Previsioni. Mappe del futuro.
Ma lo facciamo, quasi sempre, per controllare l’incertezza. Per proteggerci dal disordine, dal fallimento, dal dolore.
E così, senza accorgercene, trasformiamo la nostra vita in un progetto da portare a termine.
Ci stringiamo dentro confini stretti. Ci giudichiamo se non rispondiamo a quel modello. Ci irrigidiamo quando le cose vanno diversamente.
E il prezzo che paghiamo è alto: meno libertà, meno leggerezza, meno respiro.
Le aspettative degli altri
A volte non sono nemmeno nostre. Sono voci antiche che ci abitano. La voce di un genitore che si aspettava “di più”.
Quella di un insegnante che ci ha etichettati troppo in fretta. Di una società che ci dice cosa vuol dire “avere successo”, “essere realizzati”, “essere felici”.
E noi, anche da adulti, continuiamo a portare avanti copioni che non abbiamo scelto. Ci sforziamo di essere all’altezza.
Anche quando ci fa male. Anche quando non ci somiglia più.
E se mollassimo un po’ la presa?
C’è una domanda che possiamo cominciare a farci, nei momenti in cui tutto sembra troppo rigido, troppo faticoso, troppo “da fare bene”: E se non dovesse andare secondo i piani? Cosa succederebbe davvero dentro di me?
Spesso scopriamo che dietro quell’aspettativa c’è solo paura. Paura di non essere amati, riconosciuti, accolti.
Ma forse li, si annida anche il desiderio profondo di essere visti così come siamo, e non per come “dovremmo essere”.
Lasciare andare un’aspettativa non significa rinunciare. Significa fare spazio. Accettare la vita che c’è, anche se è diversa da quella che avevamo immaginato. Aprirci all’imprevisto, che spesso ci sorprende più della perfezione.
Un po’ di leggerezza
Imparare a vivere con meno aspettative è un allenamento. Richiede ascolto, presenza, e molta gentilezza. Ma è anche un atto di fiducia: nella vita, e in noi.
Significa smettere di rincorrere ideali rigidi. Significa dire a noi stessi: Posso stare dove sono, anche se non è tutto come pensavo. E va bene così.
In quello spazio più morbido, spesso, ritroviamo il gusto delle cose semplici. Il sollievo di un respiro pieno. Il piacere di una giornata che non deve essere “perfetta”, ma solo vissuta.
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