Succede quando rinunciamo all’ultima fetta di torta, anche se l’avremmo voluta noi. Quando restiamo svegli per aspettare chi amiamo, anche se ci si chiudono gli occhi dalla stanchezza. Quando diciamo di sì a un favore, a un impegno, a un’altra richiesta, pur sentendo che sarebbe troppo. Quando ci tratteniamo dal dire come stiamo davvero per non disturbare, per non pesare.
Quando diciamo ci penso io, anche se siamo già al limite. Quando lasciamo andare un desiderio piccolo — un film, una serata, una risposta — per fare spazio agli altri. Quando silenziamo un bisogno per non sembrare troppo.

Sono gesti minuscoli, sacrifici spesso silenziosi. Ma dentro, a volte, si muove una speranza muta: forse così mi apprezzeranno. Forse mi vorranno bene un po’ di più.

Non è un pensiero consapevole, il più delle volte. È qualcosa che abbiamo imparato piano senza rendercene conto.

L’equivoco dell’amore “meritato”

Siamo cresciuti con una sottile confusione tra amore e approvazione. Da bambini, se facevamo quello che ci si aspettava da noi – se eravamo educati, se non facevamo capricci, se prendevamo un bel voto – ricevevamo sorrisi e complimenti: bravo! brava!

E per un bambino, l’approvazione è molto più di una parola: è ricevere lo sguardo di chi si prende cura di lui, sentirsi visto, riconosciuto, accolto.

Ma se l’amore arriva solo quando siamo bravi, cosa succede dentro di noi? 

Succede che, crescendo, finiamo per confondere l’amore con l’essere all’altezza, l’essere utili, il non deludere le aspettative. E piano piano, iniziamo a credere che l’amore si debba meritare.

Cosi, facciamo tanto, diamo tanto, stiamo attenti di non essere mai “troppo” o “troppo poco”. E ogni volta che ci sforziamo per essere amati, senza accorgercene, nutriamo la convinzione che da soli non bastiamo. Che valiamo solo se serviamo, se non creiamo problemi, se rispondiamo alle attese.

Ma se smettessimo?

Se smettessimo di cercare l’amore come fosse un premio? Se provassimo a chiederci: e se io non facessi nulla, se non fossi utile, se non mi sforzassi così tanto… sarei comunque amabile?

La risposta che temiamo di più è quella che ci serve sentire: .

Siamo amabili anche nel disordine, nella stanchezza, nei giorni in cui non abbiamo niente da dare. Siamo amabili anche se non salviamo nessuno, anche se ci fermiamo, anche se impariamo a ricevere invece di dare sempre.

Forse, allora, possiamo iniziare a trattarci come vorremmo essere amati: senza condizioni. Senza dover dimostrare nulla.
Senza doverlo meritare.

L’amore è gratis

Eppure l’amore — quello vero — non funziona così.
Non segue regole di merito o scambio.
A volte ci innamoriamo delle persone più improbabili, persino di chi ci ha fatto soffrire.
A volte amiamo un figlio che non ci assomiglia affatto, un amico che ci mette alla prova, qualcuno che non “merita” nulla, eppure ci entra nel cuore.

Perché l’amore non si spiega. Non si calcola. Non si merita.

Amiamo l’altro per come ci fa sentire. Per come stiamo quando siamo insieme.
Per qualcosa che accade nello spazio tra noi, e che non ha nulla a che fare con l’essere perfetti, all’altezza, impeccabili.

Non dobbiamo essere migliori, più bravi, più forti per essere amati. Non dobbiamo guadagnarci l’affetto, l’appartenenza, la presenza di chi ci sceglie.

Siamo amabili anche nel disordine. Nei giorni storti. Anche quando sbagliamo, quando crolliamo, quando ci togliamo di dosso il ruolo di salvatori.

Forse possiamo iniziare da qui: dal lasciar andare la fatica di meritarci tutto. E imparare a ricevere amore — così com’è.

Gratis.

Se volessimo provare a sentire come ci si sta, dentro questa possibilità, ecco una piccola pratica per cominciare:

Possiamo fermarci un attimo. Chiudere gli occhi. Portare attenzione al respiro. E poi chiederci, con gentilezza:
“Se oggi non dovessi dimostrare nulla a nessuno, cosa sceglierebbe il mio cuore?”

Rimaniamo in ascolto, senza fretta. Anche un sussurro può essere una risposta.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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