Paola mi racconta che, finalmente, nel weekend è riuscita a mettersi sul divano dopo una giornata piena. Eppure, invece di rilassarsi, sente un’irrequietezza sottile. Le viene voglia di controllare il telefono, di sistemare qualcosa, di pensare alla lista delle cose da fare domani. Fermarsi del tutto le sembra impossibile, quasi fastidioso.
Dal mio piccolo osservatorio, vedo che non è la sola a provare questa sensazione. Sempre più persone si accorgono di quanto sia difficile rallentare e iniziano a chiedersi se dietro questa fatica ci sia qualcosa di più profondo. Sempre più adulti ultimamente stanno cercando di capire se la loro difficoltà a stare fermi, a concentrarsi su un’unica cosa alla volta o a tollerare il “non fare” possa essere legata all’ADHD.
La crescente attenzione a questa diagnosi è importante, perché per anni è stata sottovalutata. Ma al tempo stesso, dobbiamo chiederci: quanto di questa fatica a fermarsi è il segnale di una neurodivergenza e quanto, invece, è il frutto di un contesto che ci ha abituati a vivere in costante iperstimolazione?
Il mito della produttività e della performance
Fin da piccoli ci hanno insegnato che essere bravi significava impegnarsi, raggiungere risultati, non perdere tempo.
Probabilmente molti fra noi ricordano le lodi per un buon voto, e forse conosciamo bene la soddisfazione di una giornata produttiva, quella sensazione di valore legata a ciò riusciamo a fare. Un po’ meno attenzione spesso riusciamo a portarla a come ci sentiamo, a cosa ci rende felici, ansiosi, o insoddisfatti in quel fare.
E così può capitarci di crescere con l’idea che fermarsi sia quasi un lusso, che il nostro valore si misuri dalla nostra efficienza, dalla nostra capacità di fare qualcosa di utile.
La società celebra chi è sempre attivo, chi ottimizza il tempo, chi riesce a incastrare mille impegni nella giornata. Riposarsi? Solo quando tutto il resto è stato completato. Concedersi del tempo per stare? Solo se abbiamo fatto abbastanza per meritarcelo.
Il più delle volte finiamo per sentirci in colpa quando ci fermiamo. Se non stiamo producendo, ci sembra di non avere valore.
La paura del vuoto e dell’inattività
La verità che fermarsi significa fare spazio. Ma lo spazio, a volte, fa paura. Quando rallentiamo, emergono pensieri che avevamo messo da parte, emozioni che non avevamo avuto il tempo di ascoltare.
Per questo a volte preferiamo distrarci: accendiamo la TV, controlliamo il telefono, troviamo mille modi per evitare quel vuoto. Non perché siamo pigri o deboli, ma perché il silenzio porta con sé qualcosa di scomodo: trovarci a tu per tu con noi stessi.
Eppure, se troviamo il coraggio di attraversare quell’inquietudine iniziale, possiamo scoprire che lì, in quello spazio, c’è qualcosa di prezioso: il nostro respiro, il nostro sentire, la possibilità di riposare davvero.
Come il nostro sistema nervoso reagisce alla pausa
C’è anche una spiegazione fisiologica: il nostro sistema nervoso si abitua a un certo ritmo di attivazione. Se siamo sempre in movimento, sempre sotto stimoli, il nostro corpo entra in uno stato di allerta cronica.
Quando proviamo a fermarci, il sistema nervoso, abituato alla velocità, percepisce la pausa come una minaccia. Da qui nascono l’irrequietezza, la sensazione di disagio, la voglia di riempire subito il tempo.
Ma proprio come il corpo si abitua all’attivazione, può anche riabituarsi al riposo. Come per qualsiasi abilità, serve un po’ di allenamento affinchè il nostro sistema nervoso percepisca la pausa come un momento sicuro cosi da attivare la risposta parasimpatica -mediata dal nervo vago ventrale-, che favorisce il rilassamento, la digestione e il recupero. Questo avviene quando ci concediamo una pausa senza sensi di colpa, in un ambiente rassicurante e con attività come respirazione profonda, movimento leggero o contatto sociale positivo.
Possiamo darci il permesso di cominciare da piccoli momenti? qualche respiro profondo prima di passare all’attività successiva, una pausa senza telefono, un minuto di silenzio senza riempirlo. Pian piano, il nostro sistema nervoso imparerà che fermarsi non è pericoloso, ma necessario.
Riscoprire il valore della pausa
Non è facile, è vero. Ma possiamo iniziare a coltivare pensieri più lenti e più saggi: fermarsi non è tempo perso, è tempo ritrovato. Non è inattività, è rifornimento di energie. Non è vuoto, è spazio per tornare a noi stessi.
Prenditi tempo, impara a stare è anche l’invito e il tema che ci guiderà nell’appuntamento della prossima domenica di mindfullness e trekking: se vivi nei paraggi e puoi raggiungerci, iniziamo a fare pausa insieme.
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