L’idea di questo post nasce qualche settimana fa, leggendo “La zona cieca” di Chiara Gamberale. E ancora prima dall’esperienza fatta con le persone che seguo nei percorsi individuali o di gruppo, dalle loro domande e dai punti di stallo che abbiamo superato insieme.
Leggendo questo romanzo mi sono venute alla mente diverse storie che ho ascoltato e alcune esperienze che ho vissuto. In particolare mi ha permesso di riflettere sui cambiamenti che realizziamo grazie allo sguardo che l’altro posa su di noi. Quello sguardo di chi, standoti vicino, sa vederti nel profondo. Quell’esperienza cosi speciale di sentirci visti, per quello che siamo. Senza troppe spiegazioni. Quando ci succede è un’esperienza potente e spesso diventa un ricordo nitido che ci portiamo con noi.
E’ cosi importante quello sguardo che dovremmo procurarci almeno un paio di quegli occhi a cui possiamo affidare la nostra zona cieca.
Ma prima di tutto, facciamo un passo indietro: cos’è la zona cieca?
La zona cieca è quella zona dentro di noi che non riusciamo a vedere: lì risiedono tutto gli aspetti di noi che gli altri vedono ma che a noi sfuggono, non le conosciamo. E perché non le vediamo? Siamo al buio rispetto a questi aspetti di noi perché il nostro sguardo spesso è poco limpido, è filtrato dai nostri occhiali: risente delle nostre ferite e della nostra storia.
Esplorare le diverse parti di noi è un’avventura affascinante: ci permette di ri-scoprire quello che conosciamo e lasciamo vedere volentieri, quello che proteggiamo dallo sguardo degli altri e qualche volta vogliamo nascondere a noi stessi, quello che ignoriamo del tutto ma che spesso agli altri è molto evidente e infine, quello che scopriamo all’improvviso nelle diverse sfide che la vita ci propone.
Esplorare la nostra zona cieca spesso ci mette in difficoltà. Ed è comprensibile, perché qualche volta temiamo quello che gli altri vedono di noi; ci fa sentire scoperti e un po’ a nudo. Sentiamo la paura del giudizio (“Magari vede delle cose brutte e non vorrei saperle, mi farebbero male!”), perciò ci difendiamo e ci nascondiamo un po’. O ci teniamo abbastanza lontani dall’altro per evitare che, avvicinandosi, veda cose sgradevoli.
Così facendo, non ci incuriosiamo di sapere quello che c’è di buono nella nostra zona cieca. Si perché gli altri – le persone significative per noi- sanno vedere e rivelare cose belle e preziose su di noi. Possono custodire e proteggere le cose belle che ci riguardano e che noi non riusciamo a riconoscere. E possono rivelarcele per aiutarci ad uscire da quell’idea opaca che talvolta conserviamo di noi stessi.
In questo possono esserci di aiuto le persone che ci sono vicine e ci vogliono bene. Possiamo farne esperienza nella nostra coppia, nella nostra famiglia, in un’amicizia importante per noi. E anche in una relazione di aiuto come quella terapeutica esploriamo e custodiamo la nostra zona cieca. Ogni persona che incontro nel mio lavoro affida a me la propria zona cieca e, nello scambio che si realizza nella nostra relazione, con il mio sguardo fornisco all’altro una prospettiva diversa su di sé: meno critica e più comprensiva.
Come fare per accogliere con curiosità lo sguardo dell’altro?
Comincia da qui: pensa cosa potresti chiedere a qualcuno (di cui ti fidi) a proposito di quello che vede di te. Pensa a questa persona come uno specchio prezioso per guardarti dentro. E chiediti: come posso utilizzare al meglio la prospettiva su di me che mi offre?
Se vuoi iniziare subito puoi condividere questo post con la prima persona a cui vorresti affidare la tua zona cieca; sarà un bel regalo che vi fate, ne sono sicura!
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