All’inizio di un percorso individuale solitamente emergono due domande che le persone si fanno quando vogliono far luce sul proprio disagio. Sono due ottime domande, solo che secondo me vengono dopo un’altra, più utile in un primo momento.

Perché sta succedendo questo? Qual è la causa?

Alcune persone all’inizio sono più interessate a scoprire il motivo di quello che stanno vivendo e il perché fa così male. Forse darà capitato qualche volta anche a te: quando stiamo male il detective dentro di noi è a caccia del suo momento di gloria. E infatti quando indaghiamo sul perché iniziamo a cercare dei responsabili, dei colpevoli, l’evento scatenante (per evitarlo da quel momento in poi) mentre in realtà avremmo bisogno di comprendere il significato che quella sensazione, quel disagio che si esprime nel corpo, attraverso le emozioni e i pensieri, ha per noi, in quel momento. E prima ancora, abbiamo bisogno di comprendere come stiamo funzionando in quel momento in cui ci sentiamo rotti, sbagliati, da aggiustare. Perché possiamo ricevere tante buone opinioni, spiegazioni, diagnosi fatte egregiamente da Google, eppure raramente questo ci aiuta a ritrovare la serenità.

Cosa devo fare (praticamente)? 

L’altra domanda è “cosa devo fare?” Qui è l’aggiustatutto che c’è in noi a fare capolino, il fan del bricolage, che è in cerca di grandi soddisfazioni e a breve. Spesso questa domanda precede una reale comprensione di ciò che sta avvenendo dentro di noi e intorno a noi. A meno che tu non sia in una situazione di grande pericolo, per cui la prima cosa da fare è metterti in salvo fisicamente ed emotivamente oppure ripristinare una stabilità fisica ed emotiva come si fa negli interventi di primo soccorso (qui ne ho parlato a proposito dell’ansia), per tutti gli altri casi dovremmo fermarci un attimo a capire che cosa sta accadendo prima di inforcare strategie e soluzioni.

Dovremmo aiutarci a resistere alla tentazione di chiedere consigli perché la soluzione che va bene per me in una data situazione non può essere giusta per te. Ci assomigliamo perché condividiamo la nostra umanità e il fatto di essere vulnerabili ma non siamo uguali. Abbiamo storie, caratteristiche e caratteri che ci rendono unici. La mia ansia ad esempio è diversa dalla tua sebbene possiamo fare un’esperienza simile; è diversa perché nasce da un contesto diverso ed ha un significato diverso dalla tua. Quando non cediamo alla pigrizia delle strategie valide per tutti, ci diamo la possibilità di comprendere la nostra esperienza dall’interno e decifrare il messaggio dell’ansia. 

Ma soprattutto dovremmo resistere alla tentazione di richiedere e prendere consigli per una questione di potere: quando chiediamo dritte e strategie per sollevarci dal nostro disagio ci mettiamo nella posizione di dipendere dai consigli di un altro. Questo alimenta la nostra insicurezza e non la padronanza del nostro problema. La logica che seguiamo è “voglio qualcuno che mi dica cosa fare perché mi sento insicuro e cosi facendo dipenderò dai consigli di un altro. Rimanendo insicuro“.

Di fronte a una stessa situazione le persone sentono e definiscono il problema in modo diverso. E una cura senza la diagnosi non si può fare, no? Ecco, allora prima di tutto devi capire che cosa sta accadendo dentro di te: cosa senti? Quali sensazioni sgradevoli stai vivendo?, e solo poi imparare un modo nuovo per affrontare quell’esperienza. Carl Rogers diceva che “il potere deve rimanere nelle mani di chi ha il problema” perché solo quando impariamo qualcosa di nuovo accedendo alle nostre risorse interne ci convinciamo della nostra solidità.

Lo scopo non è quello di risolvere un problema particolare, ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale sia quelli successivi in maniera più integrata. Se il soggetto riesce ad integrarsi al punto di potersi occupare di un problema con indipendenza, responsabilità e organizzazione maggiori, e con confusione minore, allora affronterà nello stesso modo anche altri problemi.

[Carl Rogers, Da persona a persona, Astrolabio]

Da quale domanda iniziare per prenderci cura di noi?

 

Qual è allora la domanda più utile per iniziare a prenderci cura di noi? È questa: cosa sta accadendo proprio adesso, mentre vivo questa esperienza? 

Abbiamo bisogno di ritornare all’esperienza per ricostruire i pezzetti mancanti; questo vuol dire imparare a riconnettere gli stimoli esterni con la nostra esperienza interna o in generale quali eventi hanno fatto da interruttore alla nostra difficoltà. Perché proprio adesso? cosa sta succedendo in questo preciso momento della nostra vita? Spesso sfugge alla nostra consapevolezza e occorre riportare lì la nostra attenzione, con un po’ di gentilezza e con l’atteggiamento di un esploratore curioso.

Inoltre, per trovare un risposta dobbiamo conoscere quello che ci sta accadendo nel corpo, nella mente e nelle nostre emozioni per ri-conoscere la funzione protettiva del nostro disagio, ovvero anche se il disagio è spiacevole è il segnale che dentro di noi si sta attivando il nostro sistema difensivo di fronte a qualcosa che percepiamo come una minaccia.

Iniziamo ad avere una conoscenza interna di quello che ci sta capitando imparando a dare un nome alle sensazioni, alle emozioni che vengono a galla, ascoltando il nostro corpo con cui spesso non abbiamo tanta familiarità. Qualche volta sappiamo catalogare emozioni e comportamenti, sappiamo definire quello che pensiamo, ma confondiamo il pensare con il sentire. Se rimaniamo aderenti a quello che sta succedendo dentro di noi scopriamo anche di cosa abbiamo bisogno per procurarci sollievo.

Ritorniamo all’esperienza attraverso il corpo che sa tutto. E da li ripartiamo per comprendere i nostri bisogni. Per chiederci “cosa funziona per me, per rispondere a questo bisogno?”

 

 

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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