Quando siamo tristi e giù di morale ci sembra un’impresa affrontare le nostre giornate. Ci sembra di dover fare lo slalom tra le emozioni e il vortice di pensieri e sentimenti spiacevoli: tristezza, vergogna, imbarazzo.

Succede così: da una parte tutto ci sembra catastrofico, dall’altra però pensiamo e diciamo a noi stessi “non posso piangermi addosso”, “è meglio non pensarci troppo su, tutto andrà bene, devo distrarmi, uscire, e imparare a non dar tanto peso alle cose. Dovremmo imparare a fregarcene perché le cose gravi della vita sono ben altre!”.

Lo schema, semplificando come faremmo con un bambino, è questo: procediamo spediti fino a quando non incontriamo qualche emozione spiacevole e, quando capita troviamo il modo di eliminarla più velocemente possibile, di distrarci. 

 

Il gioco di Pollyanna non è utile

Evitare le emozioni spiacevoli ci richiede uno slalom faticoso. Perché il gioco della felicità di Pollyanna non è utile e non funziona. Te lo ricordi? Glielo aveva insegnato il padre prima di morire e consisteva nel trovare sempre una cosa per cui essere felice dentro ogni evento. E per rendere più incisiva la storia lei, ovviamente, era una bimba che di esperienze felici ne aveva vissuto ben poche: orfana di madre e di padre, costretta a vivere con una zia fredda e severa, si trova anche ad affrontare la malattia.

Un dramma dopo l’altro. La storia ci insegna a trovare il lato buono delle cose, cambiando il nostro atteggiamento. Questa è un’ottima cosa, certo. Purché non diventi – come finisce per essere emblematicamente definito l’atteggiamento di Pollyanna – un modo forzato e incongruo di stare a contatto con quello che si vive e cioè sottolineare sempre il bello, pur di evitare di sentire la tristezza. Ma Pollyanna avrà pure avuto qualche sana ragione per sentirsi triste? Perché mai quando facciamo i conti con la perdita e la separazione dovremmo gioire? E che c’entra questo con il piangersi addosso? 

E non mi riferisco solo ai grandi lutti intesi come perdite di persone care, ma a tutte quelle sensazioni amare e tristi che incontriamo nelle nostre giornate quando facciamo i conti con qualche esperienza che non è come vorremmo che fosse. Per tutte queste occasioni ci diamo la possibilità di essere tristi e di scoprire di cosa abbiamo bisogno in profondità in quel momento?

 

Il permesso di guardare le cose come sono. E, solo dopo, scegliere.

Non voglio dire che sia utile lasciarsi abbattere e deprimere dagli eventi della vita ma che la tristezza è un’emozione che non possiamo evitare a lungo e che ci rivela un nostro bisogno. Di quello che è più utile fare quando ci si sente tristi, ne ho già parlato qui. Non voglio ovviamente neanche trovare a tutti i costi il lato buono della tristezza.

Voglio solo dire: se siamo triste, va bene. Possiamo fermarci ad accogliere questo sentire, senza aggiustare subito il nostro umore e trasformarlo in felicità. La tristezza in genere emerge quando facciamo i conti con qualcosa che è difficile perdere o lasciare andare. Possiamo avere bisogno di un po’ di tempo per digerire la perdita e per recuperare le energie. Non saremo travolti automaticamente dal buco nero della tristezza, no. La tristezza, come tutte le emozioni è transitoria, è come un ospite gentile: bussa alla porta, chiede di essere ascoltata e poi si congeda lasciandoci qualche informazione in più per prenderci cura di noi e dei nostri bisogni. 

 

Se conosci la tristezza puoi scegliere come stare in sua compagnia

Ho scoperto delle cose importanti nei miei momenti tristi e in quelli che condividono con me le persone che incontro. Perché la tristezza rimane sgradevole ma ha un potere tutto suo ed è questo:

  1. Ci obbliga a fare i conti con poche energie, a rallentare o fermarci: quando siamo tristi tutto il nostro organismo rallenta fino quasi a bloccarsi, si richiude su di se stesso per recuperare le energie. Possiamo concedercelo ogni tanto?
  2. Ci permette di accedere alla parte riflessiva di noi, quella parte che ci invita a scoprire il senso ultimo delle cose. Come quando assaggiamo una mandorla amara: l’intensità di quel gusto è difficile da ignorare. E’ una sensazione prepotente. Allo stesso modo la tristezza ci porta a fare domande profonde sul senso della vita, delle nostre scelte. Ci aiuta ad identificare i nostri valori profondi.
  3. Quando siamo tristi possiamo accorgerci dei nostri legami e attaccamenti e, in caso di assenza, la tristezza ci invita a rimediare se è possibile;
  4. la tristezza ci permette di fare amicizia con il senso del vuoto, della mancanza. Ci manca sempre qualcosa e la soluzione non è solo riempirli;
  5. Essere tristi ci permette di riconoscere le cose che non possiamo cambiare perché non dipendono da noi; a volte è un’occasione per riappacificarci col senso di impotenza e con i tuoi limiti.

La tristezza ti permette di fare amicizia con un’altra parte di esperienze di cui hai bisogno al pari dei momenti felici. Tanto vale scoprirle e scegliere il modo per stare a quattr’occhi con loro.

E tu, cosa fai dei tuoi momenti no? Come li affronti? C’è una piccola Pollyanna che abita dentro di te?

Raccontamelo se ti fa piacere, e se vuoi continuare ad approfondire questo tema sai dove trovarmi! 

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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