Sono nella stanzetta della terapia e sto lasciando decantare le parole ascoltate oggi. A volte trovo un filo rosso che lega le storie anche se hanno trame molto differenti.
Le prime parole a cui ritorno sono quelle di un uomo che ho accolto per la seconda volta; mentre si accomoda mi racconta cosa è accaduto dopo il nostro primo incontro: dalla sua espressione sembra voglia informarmi di qualcosa che non si aspettava da sé.
Mi spiega che, sebbene fosse andato via sollevato per il fatto di aver cominciato buttare fuori e mettere ordine nella difficoltà che sta vivendo, tuttavia era sorta in lui una preoccupazione fortissima all’idea di proseguire nel percorso. Cioè, voglio cambiare delle cose come ti ho detto ma mi disturba anche l’idea, non so se mi spiego, mi dice. E se inizio a scavare e scopro qualcosa di scomodo? si ripeteva.
Come non comprenderlo? Succede anche quando sappiamo di dover cambiare quelle scarpe logore, ma è difficile disfarci di quella comodità che proviene dal fatto di essersi ormai adattate bene alla nostra forma del piede.
Cosi, abbiamo accolto la sua parte spaventata, senza svalutare le sue ragioni: come si fa d’altra parte a considerare la possibilità di cambiare qualcosa di noi senza spaventarsene, preoccuparsene, rimanerne disorientati all’idea di non riconoscerci più o di perdere quelle relazioni che abbiamo mantenuto faticosamente appese ad un filo delicato?
Mi riecheggiano anche le parole di un’altra giovane paziente di oggi che mi ha portato la sua fatica. Quando le chiedo come vuole essere aiutata, mi dice che vuole solo tornare come prima, che la sua vita ritorni ad essere perfetta come era prima degli attacchi di panico.
Sento tutta la sua confusione e sofferenza di sentirsi dentro una vita che non vuole e cosi iniziamo a lavorare su questo desiderio di ripristino della vita precedente: se era cosi perfetta come è potuto accadere che una parte di sé, si sentisse allertata, terrorizzata, in panico? Infatti non me lo spiego, mi dice: il mio corpo mi rema contro, non so perché arrivi il panico e voglio fare in modo che non succeda più.
Non c’è contraddizione: desiderio, paura e perdita spesso viaggiano insieme
Quando sopraggiunge qualcosa di nuovo nella nostra vita (un bisogno, un malessere), viviamo sempre un lutto per la perdita di una parte di noi, di un pezzetto della nostra identità fino ad allora conosciuta: temiamo di perdere quello che eravamo prima, ciò che abbiamo vissuto fino a quel momento che -sebbene non più adatto- ci è cosi familiare.
Spesso non riusciamo a tenere insieme chi siamo stati con chi siamo diventati, chi siamo con chi vorremmo diventare, le diverse parti di noi che entrano in gioco in ogni stagione della nostra vita.
A volte, la parte severa di noi prende il sopravvento su quella ribelle, altre volte quella ribelle fa il suo lavoro e manda in aria le norme e le buone ragioni della maestrina che abita dentro di noi.
La verità è che cominciamo a stare bene e sentirci liberi quando iniziamo a fare spazio e offrire comprensione profonda a ciascuna parte di noi: siamo molteplici, fatti di tanti spicchi, siamo complessi e spesso ad un primo sguardo logico sembriamo contraddittori.
Ma quanto siamo coerenti se ci incuriosiamo a capire le ragioni e le relazioni che ci abitano dentro!
Quanto siamo meravigliosamente intelligenti -anche quando manifestiamo un disagio- a dare un senso a tutti i pezzetti della nostra storia e alle diverse parti di noi! Imparare a tenerci insieme nella nostra unicità e interezza è una fatica necessaria per comprenderci e sentirci a casa (e non più estranei) nella nostra vita, quando una nuova parte di noi attira la nostra attenzione.
Mi sento grata e felice mentre penso che questa stanzetta da cui ti scrivo, in fondo, è il posto dove iniziamo ad esplorare e fare spazio ad ogni spicchio di noi.
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