Mi capita spesso di ascoltare nelle persone che incontro il desiderio di fregarsene del giudizio degli altri, di dargli poco peso fino a percepirli irrilevanti. Eppure, spesso facciamo i conti con il fatto che i pensieri e le aspettative delle persone che ci stanno accanto ci toccano: a volte ci scuotono, ci irritano o potrebbero anche sollecitare -in qualche angolino di noi- un senso di vergogna. D’altronde, come potremmo essere impermeabili?

Se ci manteniamo sensibili, se non ci siamo lasciati indurire dalla vita, è naturale sentirci toccati dall’altro.

Il nostro punto dolente

La questione forse – se ci sentiamo turbati dal modo in cui l’altro ci rappresenta- è chiederci dove l’altro ci tocchi di preciso: in quale punto dolente dentro di noi hanno trovato appiglio le parole dell’altro? Cosi, la sofferenza nasce dal fatto che le parole dell’altro incontrano spiacevolmente alcune nostre convinzioni negative su di noi. A farci sentire a disagio non è tanto cosa l’altro pensa di me ma piuttosto il risvegliarsi del dubbio su cosa penso io di me.  

È faticoso lasciare andare le convinzioni negative su di noi

Anche se ci fanno molto soffrire è difficile separarci dall’idea di avere qualcosa di sbagliato in noi, o dalla convinzione di non essere abbastanzadi essere cattivi o egoisti se facciamo soffrire qualcuno, o ancora di essere persone deboli, oppure difficili troppo esigenti.

Queste narrazioni su di noi -anche se molto dolorose- tuttavia, possono offrirci un senso di sicurezza, di familiarità, di coerenza e continuità con la nostra storia: ci permettono di orientarci nella lettura della complessità e del continuo variare delle nostre relazioni.

Non so se possiamo chiederci di non lasciarci toccare dall’altro, penso invece che possiamo starci accanto mentre ci accorgiamo che l’altro, con le sue parole o comportamenti, ci conduce sottopelle, ad incontrarci nel nostro punto dolente. In quella parte vulnerabile di noi dove abitano il dubbio su noi stessi e alcune convinzioni dolorose.

E quindi, come possiamo iniziare a scardinare le convinzioni che ci fanno soffrire?

Possiamo iniziare a riconoscere questo pensiero ingombrante, fargli spazio e allenarci a lasciarlo andare. Potremmo chiederci ad esempio: chi sarei/diventerei se mi liberassi di questa convinzione? 

C’è sempre una parte di noi spaventata all’idea di lasciare andare qualcosa di familiare, anche se spiacevole: di cosa ha più bisogno questa parte vulnerabile di noi? Quali parole avrebbe bisogno di sentirsi dire?

E li, in questa nuova possibilità di relazione con noi stessi, in questo spazio di conforto recuperiamo quell’affetto di cui abbiamo bisogno quando sperimentiamo la durezza del giudizio. Nostro, prima che dell’altro.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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