L’altro giorno nella stanza della terapia Alessandro ha esordito sorridente dicendomi che, con una certa sorpresa, sentiva di stare bene, anche se non andava tutto bene; poi si è fermato ad elencare le montagne russe emotive che aveva attraversato nei giorni che ci avevano separato.
A volte pensiamo che per stare bene dovremmo rimuovere le esperienze faticose che ci capitano e le emozioni spiacevoli che sentiamo. Cosi, senza accorgercene, alimentiamo una sottile avversione verso di noi quando non siamo come vorremmo, quando non stiamo come desidereremmo.
E invece possiamo stare bene ed essere felici, tra gli alti e bassi della nostra vita, quando impariamo a riconoscere i nostri bisogni: si manifestano attraverso le nostre emozioni -piacevoli e spiacevoli- e possiamo imparare ad accoglierli e rispondere loro, come farebbe un genitore affettuoso.
Penso che il cuore del mio lavoro è proprio questo: aiutare le persone a conoscere se stesse attraverso il riconoscimento dei loro bisogni, momento per momento. Le emozioni scomode e i nostri sintomi che ci arrecano sofferenza in fondo sono solo il segnale che da qualche parte, dentro di noi, ci sono dei bisogni inascoltati.
Dare un nome ai nostri bisogni
“Si, ma non è facile capire di cosa abbiamo bisogno”, mi ha detto l’altro giorno una partecipante all’evento di libroterapia a porte aperte mentre esploravamo la nostra relazione con il tempo libero, quello che spesso evitiamo proprio perchè ci mette a contatto con quello che ci manca, con quello che desideriamo o abbiamo bisogno.
È vero, non è affatto facile: a volte non lo abbiamo neanche imparato a fare.
Da piccolissimi siamo portatori di bisogni essenziali come la fame, la stanchezza, il bisogno di essere consolati dal dolore. Man mano che cresciamo sono bisogni via via più sofisticati: il bisogno di affermarci, di riconoscimento, di stima, di affetto, di appartenenza, di protezione, di autonomia, di successo. Ma come si fa ad imparare a distinguerli e saziarli?
Siamo cresciuti con una gamma di bisogni a cui è stata data una risposta soddisfacente e altri che non sono stati riconosciuti, legittimati, validati, accolti dalle persone che si sono prese cura di noi.
Alcuni bisogni sono stati malintesi e male interpretati ovvero le nostre richieste hanno ricevuto risposte non coerenti con la fame profonda che avevamo in quel momento: ad esempio potremmo aver ricevuto cibo quando eravamo annoiati o tristi, un momento di gioco o una distrazione quando eravamo arrabbiati, attenzioni quando eravamo vergognati, un regalo quando stavamo per rispondere ad una nostra protesta.
Tutti tentativi di buon senso per placare o spegnere le emozioni scomode. Ma esaudire le nostre richieste superficiali non vuol dire saziare i nostri bisogni profondi. Ad esempio, sappiamo di cosa abbiamo bisogno quando siamo arrabbiati? e quando siamo imbarazzati? e quando nasce la noia? e quando ci spaventiamo? Forse è più facile sapere cosa ci arreca sollievo ma non sempre corrisponde con il nostro bisogno profondo.
Cosa sappiamo di noi rispetto a questo tema? Nella nostra storia quali bisogni sono stati soddisfatti? quali altri ci sono rimasti dentro, perché nessuno ha saputo scorgerli, ascoltarli? Ed oggi che siamo adulti rimaniamo in attesa, da qualche parte di noi, di qualcuno che ci aiuti a soddisfarli?
Se vuoi continuare ad approfondire questo tema lo facciamo insieme, nell’appuntamento gratuito di questo mese su Zoom. Stasera, 24 Marzo alle 19 e parliamo di come esserci per l’altro (partner/figli) senza sacrificarci o perdere di vista noi stessi. Se vuoi raggiungerci, puoi iscriverti qui.
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