Al parco sotto casa imparo tante cose. Succede quando mi fermo ad osservare e mi lascio toccare. L’altro giorno almeno è andata cosi. All’improvviso una gonnellina gialla svolazza e lei, una bimba con lo sguardo vispo punta lo scivolo e si dirige veloce a conquistare la scaletta: un gradino per volta e giù, a rincorrere l’eccitazione, forse un po’ troppo frettolosamente. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀

Un piccolo tonfo sulla ghiaietta raccoglie quel volo avventato, lei piange e si lamenta. “Non ti sei fatta niente, lo sai” dice il suo papà con un tono infastidito. Cosi il volume del suo lamento aumenta, mentre si tocca le gambette graffiate. “Non è niente”, dice lui perentorio.

La bambina scorge lo sguardo di una donna seduta più distante, si avvicina a mostrarle i graffi e le parole non si sentono più. Da lontano osservo scambi di carezze alle piccole gambe frettolose e alle ciocche di capelli arruffati. Qualche minuto di coccole e conforto e poi ritorna la quiete: la bimba dalla gonnellina gialla può tornare a giocare. ⠀⠀⠀

Questo piccolo frammento di quotidianità mi rimane appiccicato addosso. Continuo a fare altro, e a sentirmi quella bimba. A volte a dire il vero, anche quel papà.

Mi chiedo: forse è quello che dovremmo imparare a fare con noi stessi? A volte, quando la vita ci graffia, basterebbe rinunciare a giudicare ciò che sentiamo e regalarci il tempo per confortarci.

Chi può dire cosa sentiamo noi? chi può stabilire cosa è esagerato oppure no? chi può arrogarsi il diritto di dare valore a ciò che viviamo noi, al posto nostro?

È una forma di violenza quella di invalidare le esperienze emotive nostre e di chi ci sta vicino. È un giudizio che arriva dritto a screditare l’affidabilità delle sensazioni, che il più delle volte non vogliono essere etichettate o risolte. Vogliono essere semplicemente riconosciute.

Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti e confermati nel nostro modo di sentire e di leggere la realtà. Tutte le volte che accade sentiamo che l’altro ci restituisce la legittimità delle nostre emozioni.

Le riconosce come valide, ovvero comunica che quel sentire ha un senso, va bene, è comprensibile. Può succedere. Fa male, vero?  Mi dispiace.

Non c’è niente da fare, niente da aggiustare. A volte basta allargare le braccia, accogliere. Accoglierci senza giudizio, quando la vita ci graffia.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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