L’altro giorno mia figlia stava giocando con la scatola delle forme, cercando di infilare un pezzo rotondo in uno spazio quadrato. Ha provato una, due, tre volte, spingendo sempre più forte, finché la frustrazione è esplosa: ha lanciato il pezzo a terra, il viso acceso di rabbia, un verso di protesta e le mani strette a pugno.
Il primo istinto sarebbe stato quello di mostrarle come fare e in definitiva trovare un modo per calmare quella reazione.
A volte lo faccio anche con me stessa: se non mi concedo il tempo di ascoltarmi davvero, finisco per limitarmi a placare l’emozione e tornare a fare quello che devo fare. Ma spesso, in quei momenti, non abbiamo bisogno solo di calmarci. Ci sono emozioni che chiedono di essere ascoltate e confortate.
Cosi, mi sono avvicinata, l’ho abbracciata. Il suo respiro si è fatto più lento, le mani più morbide e in quel silenzio fatto di coccole mi è sembrato di poter sentire tutta la sua frustrazione quando non riesce a fare come vorrebbe. Io la conosco bene quella rabbia e, anche se da adulta non posso lanciare giochi, so quanto sia difficile a volte accettare che le cose non vanno come vorrei. Cosi, solo quando ha sentito che la sua protesta era stata sentita e accolta, con calma ha ripreso a giocare.
Ecco, anche a noi spesso succede lo stesso: nelle nostre fatiche quotidiane spesso abbiamo bisogno di imparare a confortarci ma facciamo molta confusione tra capacità di calmarci e capacità di consolarci, tra il gesto di parlarci con ragionevolezza e la capacità di starci accanto, semplicemente validando e abbracciando il nostro sentire.
Eppure, quando siamo in difficoltà, non abbiamo bisogno di soluzioni immediate né di eliminare la frustrazione il prima possibile. Abbiamo bisogno di restare con la nostra emozione e comprenderla.
Confortare e calmare sono cose diverse
Quando vogliamo calmare un bambino o noi stessi, vogliamo essenzialmente regolare, controllare il volume di quell’emozione. Invece quando ci confortiamo accogliamo e accettiamo le nostre (o altrui) emozioni cosi come sono.
E dopo averle avvicinate e comprese, possiamo trovare un modo per starci accanto tenendo conto di quello di cui abbiamo più bisogno in quel momento. A volte, significa offrirci le parole e i gesti che avremmo voluto ricevere.
Non ci confortiamo con le spiegazioni logiche
La capacità di confortarci è prevalentemente una competenza emotiva: regolare le nostre emozioni passa prima dal corpo e dalla nostra abilità di sintonizzarci con il nostro sentire e con quello di chi ci sta vicino.
Quando ci sentiamo vulnerabili la logica e le spiegazioni non bastano. Prima abbiamo bisogno di sentirci al sicuro, di attivare il nostro sistema calmante; solo dopo possiamo accedere anche alle nostre capacità riflessive.
Forse ti starai chiedendo: “Ma è più facile consolare gli altri che noi stessi!”. Ed è vero. La capacità di auto-confortarci, di prenderci cura e regolare le nostre emozioni, è una competenza che spesso dimentichiamo di coltivare, eppure è fondamentale per il nostro benessere emotivo.
Come un bambino cerca sicurezza nei gesti di chi lo ama, anche noi possiamo trovare conforto nella consapevolezza delle nostre sensazioni corporee, trasformando ogni piccolo atto di attenzione in un gesto di cura verso noi stessi.
Per questo, allenare la nostra mente compassionevole è un gesto di cura per noi: è il modo più semplice per imparare a starci accanto come farebbe un genitore affettuoso.
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