In questi giorni riflettevo su alcune mail e alcune richieste che mi sono arrivate da amici, colleghi più o meno conosciuti e clienti. Su questi ultimi ho allargato la mia riflessione come ti racconterò più avanti.

La riflessione si è avviata perché le richieste hanno in comune un interrogativo e una mia risposta immediata di pancia.

La vicenda funziona più o meno così:

  • Mi raccontano un pezzo di vita,
  • formulano la domanda: Cosa devo fare? cosa mi dici di fare?
  • avverto una reazione di pancia immediata: un pizzico di fastidio -variabile di intensità in base all’interlocutore- e pensiero immediato che suona più o meno così “boh, che ne so!”

Poi, quando agisco e rispondo invece formulo risposte più ragionevoli e sensate. E, se si tratta di lavoro, più comprensive e professionali.

Comunque ho riflettuto su questa sequenza, sul significato della mia prima reazione, su un certo tipo di cultura che ci permette di formulare le domande in quel modo. E ho trovato delle risposte che riguardano il mio modo di essere come persona e come professionista.

Te lo racconto per due motivi:

  • perché credo che dietro questo modo di formulare richieste di aiuto ci sia un atteggiamento che può farci male come adulti e come persone;
  • e perché penso che sia uno degli ostacoli e dei pregiudizi che impediscono a molte persone di prendersi cura di se stessi chiedendo un aiuto di tipo psicologico.

Andiamo con ordine:

  1. Partiamo dal primo punto: siamo molto abituati a formulare richieste di consigli o aiuto secondo il “modello medico” ovvero: vuoti il sacco e chiedi la soluzione (prescrizione) all’esperto in questione che – dotato di superiori talenti- sa e ti darà cosa devi fare. Tu ti lasci “curare” delegando a lui la comprensione, la diagnosi e la soluzione dei tuoi problemi. Forse ti chiederai: e che c’è di male? nulla in realtà. E’ una delle tante modalità di chiedere aiuto e di offrirlo. Solo che spesso non è efficace, secondo me. Delegare del tutto all’altro non sempre ti soddisfa (infatti spesso ti tocca chiedere a più specialisti le loro soluzioni, per confrontarle…ti è capitato?). E spesso parte da un presupposto che solo lui sa e può risolvere il tuo problema”. In pratica tu e il saggio di turno non siete sullo stesso piano.
  2. Andiamo al secondo punto. Al contrario, molte persone si impediscono di chiedere aiuto (almeno nel mio campo) perché non si fidano/non credono nella ricetta offerta da qualcun’altro, anche se ritenuto “esperto” per il suo ruolo o i suoi studi. E’ come se dicessero pressappoco così: ma cosa ne può sapere questo di me/della mia vita?!” o ancora “poi mi dice cosa devo fare/mi influenza!”In pratica fanno fatica ad affidare la propria situazione all’altro…il saggio di turno non è riconosciuto tale o comunque credibile.

C’è una terza via in cui io mi ritrovo e mi sento a mio agio come persona e come professionista quando ricevo richieste di aiuto. C’è la possibilità di essere io e te a risolvere il problema che stai intravedendo.

Siamo insieme, con competenze diverse, a lavorare per trovare la soluzione. Io metto in campo le mie competenze e tu le tue idee, i tuoi pensieri, tutto quello che sai di te (chi è più esperto di te sulla tua storia?). Siamo entrambi responsabili di mettere in campo le nostre risorse…è la nostra relazione che -se funziona- troverà la soluzione! E la trova, fidati! 🙂

Da cosa me ne accorgo? dalla soddisfazione delle persone che seguo nei percorsi individuali quando si sentono protagonisti della soluzione che hanno contribuito a costruire!

Quindi la prossima volta che senti di avere bisogno di un aiuto, chiediti: chi penso dovrebbe risolvere il mio problema? Se la risposta è “chiunque fuorché io” oppure “solo io posso farcela da solo”...fermati a riflettere: ci potrebbe essere una terza via più soddisfacente per me? Quale incontro, quale relazione della mia vita potrebbe essere lo strumento adatto per uscire dal guado? Potresti fare scoperte interessanti! E se vuoi raccontarmele sono sempre qui! 😉

 

boxauthor

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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