C’è una sensazione che ricordo nitidamente, di me più o meno quattordicenne mentre passavo le ore al telefono con la mia amica del cuore, per raccontarle con infiniti dettagli quello che mi era successo poche ore prima a scuola con quel tale o quella tizia. Raccontavo cose a cui anche lei aveva partecipato, era lì con me a scuola, e io trovavo comunque una montagna di dettagli per spiegarle quelle cose dalla mia prospettiva, la mia lettura.
Erano conversazioni infinite che non saziavano mai (la sensazione era proprio questa: emozioni vaghe e dubbio che avessi letto davvero bene la situazione e che poi avessi agito bene). Li per li non mi rendevo conto di quale fosse il mio obiettivo in quel parlare, ma adesso lo so: cercavo occhiali esterni che confermassero la bontà dei miei occhiali; a volte volevo una spalla con cui criticare terzi e un tifo da stadio per le mie gesta (insomma, era pur sempre la mia amica, no?).
Non so se è successo solo a me, ma penso di no, di avere questo bisogno di qualcuno che da fuori convalidasse il mio sentire e i miei pensieri. E penso per altro che non succede solo in quella fase della vita: con sfumature e intensità diverse può capitarci sempre se questo è un tasto dolente per noi.
“Lo so che è una cosa stupida quella che ti sto per dire”
Spesso, proprio in terapia, mi sento dire questa frase per anticipare una rivelazione: “Lo so che è una cosa stupida quella che ti sto per dire, mi vergogno a dirla, lo so che non ha senso ma –che ci posso fare?- mi capita questa cosa qui (di sentire questo e pensare quest’altra cosa)”.
Questa premessa racconta una cosa importante che quasi sempre la persona ha già sperimentato: a vedersi da fuori, dalla prospettiva di un amico o un’altra persona quella cosa sembra irrilevante, illogica, non ha senso. Lei stessa, spesso, quando si osserva in modo distaccato non si comprende.
“Ma è cosi: mi viene questo pensiero e questa sensazione e non so perché”
Tuttavia, ad osservarsi da dentro, è impossibile non vedere un’altra parte della realtà: quei pensieri vengono e quelle sensazioni prendono il sopravvento in un baleno. Perché ci sono cose vere che non vivono nel dominio della logica ma hanno comunque un senso: un senso emotivo che collega i fatti ad altri fatti che risiedono in una zona un po’ cieca per noi. Collegare questi fatti del presente con altri del nostro passato prossimo o remoto aiuta a ritrovare una connessione tra le cose e dare un significato a quello che stiamo vivendo. Non serve a trovare colpevoli o attribuire responsabilità, no. Serve a comprenderci profondamente, anziché giudicarci (illogici, stupidi, fragili, incapaci). Durante il lavoro in terapia spesso gli occhi diventano vividi, l’ansia si tramuta in quiete, il torpore in guizzo di energia. Avviene quando scopriamo che quelle cose viste da dentro hanno proprio senso.
Ecco perché durante i colloqui dal vivo o su skype lavoriamo in tandem e non sono io ad avere un ruolo dominante nella scena. Perché insieme ci impegniamo in un processo di scoperta per passare dal punto di vista esterno, ad un punto di vista interno, più profondo come spiego in questo video della scorsa settimana. Insieme percorriamo una strada nuova per passare dal valutarci al comprenderci, dal cercare conferme o approvazione rispetto al nostro vissuto al sostenerci facendoci bastare i nostri occhiali. Agli incontri non chiediamo più di saziarci; il confronto con l’altro diventa quello che è: l’incontro con una prospettiva diversa che non contamina la nostra, la arricchisce o no ma non la deforma.
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