L’altro giorno una giovane donna durante un colloquio mi raccontava la sua difficoltà a farsi avanti ed affermarsi a lavoro; nel racconto dettagliato delle vicende che stava vivendo, mentre mi riferiva che cosa avrebbe voluto dire, aggiungeva spesso il pensiero che le balenava e la frenava in quei momenti: si diceva “Ehi, ma chi ti credi di essere (per dire questa cosa)?“. Da qualche parte di se, si diceva di non essere abbastanza titolata per dire la propria opinione, per esprimere il proprio dissenso; temeva di incontrare la disapprovazione e che, in fin dei conti, venissero giudicate le cose che avrebbe detto o fatto.

A chi di noi non capita di rimanere vigili al giudizio degli altri? In fondo entriamo in relazione con il desiderio di sentirci visti, di ricevere attenzioni, di essere approvati, almeno un pochino.

È logico e anche naturale che il giudizio degli altri incida sulla percezione che abbiamo di noi stessi perché cresciamo e formiamo la nostra identità attraverso le conferme o disconferme che riceviamo nelle nostre relazioni. Ad esempio: ogni volta che piangevamo mamma ci diceva che eravamo esagerati e lamentosi? Potremmo avere imparato a non mostrare più tante lacrime in sua presenza (o, peggio ancora, in generale, di fronte agli altri). Ci dicevano che eravamo bravi bambini, sempre ubbidienti e servizievoli? Probabilmente avremo imparato a mostrare questo aspetto diligente di noi (e mettere in ombra gli altri) per sentirci a nostro agio e per guadagnarci la vicinanza e il riconoscimento degli altri.

Spesso siamo cosi sensibili all’effetto che abbiamo sugli altri anche in una conversazione, che aggiustiamo il tiro se ci accorgiamo che il nostro interlocutore fa una smorfia di disinteresse o disapprovazione. Non è solo un gesto empatico di attenzione per l’altro, è ancor prima un’attenzione istintiva a non mettere in difficoltà noi stessi e non sentire la disapprovazione perché è un’esperienza spiacevole che spesso ci fa mettere in dubbio: starò sbagliando io? ho davvero ragione?

A volte il desiderio di essere approvati sorge silenzioso, senza rendercene conto e diventa invadente tanto da impedirci di esprimerci con spontaneità, rimanendo fedeli al nostro io. E a volte, ci impedisce di incontrarlo.

Come camaleonti sociali

Cosi, può capitarci di muoverci nel mondo come camaleonti sociali dicendo e facendo cose che sappiamo essere piacevoli per l’altro ed evitando quello che potrebbe farci incontrare la disapprovazione. Accontentare l’altro, evitare che si dispiaccia, come abbiamo visto, non è solo un gesto di generosità, è anche il nostro modo di evitare la scomodità di essere dissonanti rispetto all’esperienza dell’altro. E’ un tentativo di rimetterci in salvo, sentendoci al sicuro dentro una relazione che ci garantisce un riconoscimento.

Magari possiamo accettare di essere disapprovati per le nostre idee, perché questo ci fa sentire persone aperte al confronto. Ma spesso non tolleriamo di non essere approvati per quello che sentiamo: soffriamo quando l’altro non riconosce e convalida la nostra rabbia, paura, tristezza, vergogna. E’ una forma di distanza che ci fa sentire soli anche mentre siamo in relazione. Una distanza che ci fa mettere in dubbio: pensiamo “ma forse non dovrei sentirmi cosi?”, Sono io strano/a?. Cosi, nel tempo impariamo in quali relazioni possiamo esprimere le nostre emozioni e in quali altre non è vantaggioso esprimerle affatto. Impariamo a fare cose che non risultino sconvenienti o imbarazzanti, per sollevare noi stessi dall’imbarazzo di sentirci soli e “diversi” di fronte all’altro.

Quando facciamo scelte governate da ciò che piace agli altri, per rispondere alle loro aspettative, inseguiamo la loro approvazione e la nostra sensazione di sicurezza.

E cosa trascuriamo e sacrifichiamo di noi stessi? Barattiamo il riconoscimento e l’approvazione con la nostra possibilità di esprimerci e lasciarci vedere cosi come siamo, con libertà. Quando ci adattiamo e ci mostriamo compiacenti, ci togliamo l’opportunità di scoprire cosa vogliamo veramente noi, cosa riteniamo giusto, cosa ci piace davvero. E perdiamo anche la possibilità di sostenere e consolare noi stessi quando incontriamo le dissonanze emotive con chi ci sta vicino, quando ci sentiamo soli, senza l’approvazione delle persone significative per noi.

Imparare a sostenerci quando non siamo approvati

Cosa possiamo fare allora se ci accorgiamo di essere sensibili al bisogno di approvazione e di sentire un po’ di disagio quando l’altro non convalida la nostra esperienza? Possiamo imparare ad osservare con curiosità chi siamo veramente noi anche quando non siamo confermati dagli altri; possiamo coltivare la nostra identità non-confermata, quella più libera e autentica che aspetta di fiorire.

Vediamo quali attenzioni possiamo imparare a coltivare per proteggere e scoprire il nostro io e di renderlo visibile nelle nostre relazioni:

  1. Iniziamo a scoprire il nostro punto di vista interno: Iniziamo a chiederci “cosa piace a me rispetto a questo?” cosa penso io sia giusto? cosa voglio rispetto a questo data cosa?. E’ un modo per ritrovare una messa a fuoco interna rispetto a quello che sentiamo, pensiamo e vogliamo noi. Mettere a fuoco la nostra posizione interna ci aiuta a tenerla presente, quanto meno insieme all’esperienza dell’altro.
  2. Il secondo passo utile è imparare a validare il nostro sentire e la nostra esperienza. Significa dare valore la nostra esperienza, ritenere che quello che pensiamo e sentiamo “è abbastanza“, significa sentire che quello che viviamo ha un senso ed “è degno di essere ascoltato”, perché ci possiamo fidare di ciò che sentiamo, pensiamo e desideriamo. Fare questo è un modo per coltivare la fiducia rispetto al nostro sentire: è l’esatto opposto del dubitare che è l’esperienza che alimentiamo quando rimaniamo attenti all’altro e sentendoci insicuri su noi stessi.
  3. Dopo che abbiamo preso confidenza con il nostro sentire e abbiamo imparato a avere fiducia in quello che sentiamo, pensiamo e viviamo, possiamo allenarci a dire ed esprimere all’altro la nostra posizione. Possiamo imparare a sostenere la differenza quando siamo con l’altro e confortarci e incoraggiarci quando sperimentiamo il disagio di una certa distanza.

Imparare ad arginare il nostro bisogno di approvazione ci aiuta in pratica a coltivare la fiducia in noi stessi, ci autorizza a scoprire noi stessi e rimanere fedeli a quello che siamo momento per momento. Ci permette di sostenere la nostra autostima anziché dipendere dagli altri,

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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