C’è una paura che ascolto spesso in terapia: quella di diventare come i nostri genitori. A volte è proprio osservare la somiglianza di un nostro comportamento o una nostra reazione il campanello di allarme che porta le persone a prendersi cura di se stesse .
Quando Carla arriva da me ad esempio, lo fa perché si è accorta di essere molto reattiva con chi le sta vicino e in particolare con i suoi figli. E lei che è molto attenta ed esigente rispetto all’educazione dei propri bambini, non può perdonarsi di non essere una mamma all’altezza delle proprie aspettative. Chiede molto a se stessa e a chi le sta vicino e quando si accorge di aver commesso un errore, diventa molto autocritica. Ma soprattutto si spaventa: non starò mica diventando come mia madre? si chiede.
A volte ci sentiamo mortificati dalle nostre reazioni come genitori e siccome temiamo di procurare sofferenza ai nostri figli, ci documentiamo tantissimo e ci impegniamo con tutte le nostre energie per scongiurare la possibilità di fare errori. O di finire per comportarci proprio come nostra madre o nostro padre. Anche a Carla succedeva la stessa cosa: sulla teoria era ferratissima ma nella sua esperienza invece a volte si ritrovava a saltare come una molla, si sentiva irritata e non sapeva bene perché. Si diceva che “non c’era motivo di agitarsi” e che non avrebbe dovuto dire certe cose ai suoi figli, ma in alcuni momenti si accorgeva di reagire impulsivamente e non capire neanche perché.
Conosciamo molto bene quello che ci ha fatto male o che ci è mancato, e quindi non lo vorremmo ripetere; cosi l’intenzione che spesso ci impegna tutta la vita è tenerci distante da quello che abbiamo sofferto nella relazione con i nostri genitori.
Vogliamo essere diversi e spesso percorriamo strade opposte proprio per raggiungere lo scopo ma qualche volta non è abbastanza: all’improvviso, come in un percorso ad anello, ci accorgiamo che siamo arrivati laddove non avremmo voluto. Ci accorgiamo che ricalchiamo per qualche aspetto del nostro carattere proprio quei comportamenti che non ci sono piaciuti e non ci capacitiamo di come sia potuto succedere di essere finiti cosi vicini a quella strada che volevamo accuratamente evitare. Come abbiamo potuto riprodurre qualcosa di cosi simile, magari verso i nostri figli, noi che volevamo essere genitori del tutto diversi da quelli che abbiamo avuto? Noi che sappiamo bene quanto male ci ha procurato quello che abbiamo vissuto?
Differenziarsi non vuol dire fare cose diverse o opposte
Qualsiasi genitore abbiamo avuto e qualsiasi ferita abbiamo incontrato nella nostra storia, ognuno di noi prova a crescere e diventare se stesso rimaneggiando i modelli caratteriali e comportamentali di cui abbiamo fatto esperienza: i modi di stare in relazione che abbiamo osservato, le parole che hanno accompagnato quei comportamenti, le emozioni che abbiamo vissuto e associato a quei modi di fare.
Carla ricorda che da piccola il suo papà la spronava a dare sempre il massimo e sminuiva ogni suo successo. La sua mamma invece l’ha sempre corretta per aiutarla a fare meglio. Per il suo bene, diceva. Lei oggi si descrive come perfezionista, al contempo si sente sempre esitante ed ha una vera e propria allergia per tutte le correzioni o le critiche. Cosi, con i suoi figli fa molta attenzione a non dire nulla che possa assomigliare ad un rimprovero, una disapprovazione, una critica; al contrario, si sforza di essere incoraggiante, accogliente a tutti i costi. Le critiche invece le riserva tutte a se stessa: a voce alta si rimprovera quando non riesce a fare qualcosa come desidera. Tratta il suo partner come faceva sua madre con lei, mostrandosi delusa e pretenziosa ogni volta che lui non fa le cose con attenzione. Infine, si vergogna e si imbarazza ogni volta che qualcuno le fa notare le sue imperfezioni, reagendo allo stesso modo in cui reagiva ai rimproveri di suo padre.
Ma come è possibile che le nostre storie siano intrise dei soliti vecchi ritornelli, se razionalmente sappiamo quello che non ci piace?
Perché quando siamo in difficoltà -e nelle nostre relazioni intime lo siamo spesso perché sentiamo la nostra vulnerabilità- replichiamo reattivamente le cose che ci sono più familiari.
Impariamo a stare al mondo dai nostri genitori ed elaboriamo le nostre strategie di sopravvivenza in tre grandi modi:
- ci identifichiamo con il modello dei nostri genitori (ci impegniamo ad essere proprio come loro o assolutamente diversi: ad esempio esigenti e pretenziosi se abbiamo avuto genitori molto severi o al contrario ribelli ad ogni richiesta severa),
- reagiamo da adulti nello stesso identico modo in cui abbiamo fatto da piccoli con i nostri genitori (ci comportiamo come se fossimo ancora quei bambini che siamo stati e mamma o papà fossero qui ad agire nel solito modo; ad esempio ci sentiamo umiliati e rimproverati ogni volta che qualcuno ci fa notare qualcosa),
- o infine trattiamo noi stessi proprio come facevano loro (ad esempio diventiamo autocritici e severi proprio come hanno fatto con noi).
Cosi, questi modi possono avere parvenze diverse ma sono tre reazioni automatiche a quello che ci ha fatto soffrire o non ci è piaciuto. Anche fare cose opposte rientra fra queste: proprio come il negativo di una fotografia riproduciamo la stessa immagine, solo con un’inversione di chiaroscuri.
Ti starai chiedendo perché lo facciamo. Perché i bambini dentro di noi sono tenaci: continuiamo a replicare cose vecchie -anche se spiacevoli- perché ci illudiamo che prima o poi, nella ripetizione, possa accadere qualcosa di nuovo; magari questa volta arriverà quell’approvazione che non abbiamo mai ricevuto e che abbiamo aspettato da una vita? Forse prima o poi qualcuno si scuserà e ammetterà di avere esagerato con noi? Prima o poi succederà che le persone che ci sono vicine ci offrano vicinanza e amore per il semplice fatto di essere cosi come siamo?
Come cambiare copione?
La buona notizia è che possiamo cambiare questi stampi che hanno dato forma ai nostri comportamenti e al nostro modo di stare in relazione. Possiamo percorrere intenzionalmente strade in cui scegliamo ad ogni passo cosa va bene per noi, senza imboccarci nel solito sentiero conosciuto e riconoscere che se è un percorso ad anello arriveremo allo stesso punto, anche a partire da posti diversi.
Cosi possiamo scoprire che non è cosa facciamo che ci rende simili o diversi ai nostri genitori: il punto non è rimproverare criticamente o astenersi da ogni forma di rimprovero. Siamo autenticamente diversi e distinti quando riusciamo a discriminare e scegliere con libertà quando ha senso per noi fare una data cosa o no; quando possiamo permetterci di rimproverare i nostri figli senza sentirci in colpa o come nostra madre o nostro padre.
Ci differenziamo dai nostri modelli ogni volta che riconosciamo il nostro modo stare in relazione e diventiamo consapevoli del modo in cui manteniamo in vita questi meccanismi. Ma soprattutto cambiamo quando impariamo a risanare le esperienze che ci hanno ferito e, come adulti, ci restituiamo la possibilità di ascoltare quelle emozioni e soddisfare i bisogni che sono rimasto trascurati e inascoltati.
Ci emancipiamo da quei modelli quando diventiamo noi genitori affettuosi di noi stessi perché sappiamo ascoltare i nostri bisogni e soddisfarli. Solo cosi possiamo sintonizzarci con i bisogni dei nostri figli e diventare chi siamo: un po’ simili, un po’ diversi da quella madre e quel padre che ci hanno messi al mondo.
Educare, ascoltare è un percorso di gruppo che ci aiuta a fere questo: ascoltare i bisogni dei nostri figli senza dimenticare i nostri. Incontro dopo incontro riaccordiamo noi stessi non per diventare bravi genitori ma per essere a nostro agio cosi come siamo.
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