A tutti noi piace essere stimati e apprezzati dagli altri; l’idea del nostro valore nasce proprio dalle esperienze che abbiamo fatto nelle nostre relazioni: quanto ci siamo sentiti importanti per l’altro? quanto ci siamo sentiti un peso? per quali nostri comportamenti abbiamo ricevuto maggiori riconoscimenti? quali aspetti di noi ci hanno fatto incontrare la disapprovazione degli altri?

Le risposte a queste domande hanno disegnato la percezione del nostro valore.

Agli adulti che incontro sento spesso dire  “non mi interessa cosa pensa la gente di me” ma ai bambini che siamo stati (e a quelli che abitano ancora dentro ciascuno di noi) non è vero che non interessa quello che gli altri pensano di noi, perché ci tocca; il loro sguardo spesso ci definisce prima ancora che noi riusciamo a trovare le parole per definire e raccontare noi stessi.

Cosi, per sentirci bene impariamo a fare le esperienze che ci permettono di riuscire in qualcosa, ci impegniamo a far crescere quegli aspetti di noi per cui riceviamo approvazione, ovvero valutazioni positive da parte degli altri. E poi a volte, di conseguenza, otteniamo anche la nostra stima.

Continuiamo a farlo anche da grandi: cerchiamo il piacere che nasce dall’avere successo, e se raggiungiamo l’obiettivo, come adeguato compenso per quello che abbiamo conseguito, ci stimiamo. Ma il più delle volte non è mai abbastanza perché le valutazioni -anche quelle positive- non ci saziano mai: la stima senza l’affetto non ci permette di sentirci amabili e di valore. Quella sensazione che tanto desideriamo di sentirci sicuri e a nostro agio con noi stessi proviene dal sentirci voluti bene.

La confusione tra la valutazione e l’affetto

L’altro giorno durante un colloquio una ragazza mi riferiva le parole di cattivo gusto che aveva ricevuto da un’amica e che l’avevano ferita; l’ho ascoltata sentendo con lei il dispiacere, la rabbia e l’umiliazione, poi le ho chiesto “tu la stimi?“. Mi ha risposto: “si e no, ma le voglio bene perché riconosco le sue fragilità, sono cresciuta con lei e sento affetto”.

Mi ha commosso il modo con cui mi ha risposto: dentro di lei era chiarissima la distinzione tra la valutazione e affetto: quell’amica non si era guadagnata la sua stima perché aveva mancato di sensibilità in più di una circostanza, ma nonostante ciò aveva comunque un posto nei suoi affetti.

Non possiamo decidere chi vogliamo bene, perché l’affetto è gratis, non è il compenso per una buona condotta. L’amore non si merita e ogni partner o genitore lo sa: spesso amiamo nonostante l’altro non sia proprio quello che desideriamo; forse amiamo proprio perché intravediamo la parte più vulnerabile della persona che abbiamo di fronte.

Questo vale anche per la relazione con noi stessi. Possiamo rincorrere la sensazione di essere di più, possiamo anche stanziare obiettivi e fare cose per raggiungerli cosi da meritarci la nostra valutazione positiva, la nostra stima. Ma questo non equivale a sentirci bene con noi stessi, a volerci bene. In alternativa, possiamo scegliere di sentire affetto per noi, per quello che siamo, anche quando sbagliamo, anche quando non abbiamo successo, anche quando ci comportiamo come un pessimo amico o un figlio capriccioso.

Possiamo imparare a volerci bene che vuol dire iniziare a comprenderci con affetto, anziché continuare ad essere pretenziosi con noi stessi.

Per questa ragione, in questi giorni ho inserito nell’audiocorso TU VALI (E PUOI FARTI VALERE) sei tracce di mindfulness per aiutarci ad osservarci con meno giudizio e imparare a stare con noi stessi dando valore a ciò che sentiamo e a ciò che siamo.

Se sei già iscritto le trovi accedendo alla tua area riservata, se non sei ancora iscritto puoi ascoltarle acquistando l’audiocorso: fino a domenica 24 luglio puoi farlo con uno sconto del 15%

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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