Non importa quanto ci sforziamo, non importa quanto successo siamo riusciti a raggiungere, non importa neanche quanto siamo bravi come genitori, lavoratori o coniugi: a volte sentiamo che non è mai abbastanza. C’è sempre qualcuno più competente, più magro, più intelligente o più benestante di noi, qualcuno che al cui confronto potremmo sentirci inadeguati.

Per affrontare questa spiacevole sensazione ci diciamo -o ci viene detto- di superare la nostra insicurezza, di imparare a stimarci di più. Pensiamo che l’autostima possa metterci al riparo dal nostro malessere e per questo ci siamo convinti che dovremmo aumentarla. 

Ma la necessità di valutarci continuamente in modo positivo ha un prezzo molto elevato: richiede ad esempio di impegnarci a riuscire in diversi ambiti in un continuo confronto con gli altri che ci sono vicini, nella speranza di raccogliere prove del nostro valore, della nostra adeguatezza, o del fatto di essere al di sopra della media per qualcosa. Ci affatichiamo per raggiungere obiettivi, cosi da conquistare l’approvazione nostra o degli altri a cui teniamo.

A volte mi chiedo se, a furia di voler aumentare la nostra autostima (o quella dei nostri figli) non staremo crescendo troppo ripiegati su noi stessi, arrabbiati e sempre incerti sul nostro valore, mentre contribuiamo a favorire di un’epidemia di narcisisimo.

E se ci fosse un’altra strada per stare bene con noi stessi che implica la possibilità di essere premurosi e solidali con noi tutte le volte in cui falliamo o ci sentiamo meno per qualcosa?

Sentirci sicuri: da cosa dipende?

Essere sicuri di noi stessi è un’esperienza che non ha alcun rapporto con ciò che siamo o non siamo in grado di fare, ma riguarda in realtà ciò che pensiamo o crediamo profondamente di noi stessi e soprattutto ciò che proviamo riguardo alle nostre capacità.

Se le emozioni che sperimentiamo verso noi stessi sono tendenzialmente piacevoli perché fanno spazio a gentilezza e comprensione affettuosa, probabilmente sentiremo di poter godere di un senso di sicurezza e sostegno quando stiamo in compagnia di noi stessi. Al contrario, se le emozioni verso noi stessi sono spesso ostili perché connotate da rimprovero, biasimo e severità probabilmente faremo l’esperienza di avere una bassa autostima; ci metteremo sempre in dubbio e ci sentiremo instabili.

Coltivare accettazione e compassione

Tempo fa ho sentito una mamma che diceva alla sua bambina, nata con una disabilità: “ti amo: non ti cambierei di una virgola!”. Mi hanno commosso profondamente quelle parole: non solo perchè conosco quanto possa annidarsi nel cuore di una madre il desiderio di cambiare nei nostri figli gli aspetti che potrebbero causare loro sofferenza, ma soprattutto perchè mi sono chiesta quanto sarebbe bello imparare a rivolgere quelle parole a noi stessi. Quanto sarebbe rivoluzionario imparare ad accoglierci senza coltivare la pretesa o l’aspettativa di essere diversi da come siamo?

Ci giudichiamo costantemente. Il chiacchiericcio interiore che alimentiamo è costellato perlopiù da pensieri e giudizi severi che generano un clima difensivo dentro noi stessi. Con la mente demoliamo la fiducia in noi stessi e, di conseguenza, anche l’autostima. È importante rendercene conto e imparare a distaccarci da questi giudizi e osservarci come testimoni imparziali. La consapevolezza ci permette di mettere a tacere i nostri pensieri di rimprovero per tornare nel momento presente e scoprire che la persona che abbiamo sempre desiderato essere forse è già qui. A volte è in difficoltà e possiamo imparare a sostenerla con affetto.

Spesso pensiamo che accettazione significhi assumere un atteggiamento passivo nei confronti di noi stessi e che questo possa frenare la possibilità di migliorare o progredire. La mindfulness invece insegna che accettarci significa accoglierci da subito, nel presente, e che, solo coltivando l’accettazione di noi stessi cosi come siamo, creiamo le condizioni preliminari per cambiare. La consapevolezza insieme alla compassione ci aiutano ad accogliere le nostre emozioni in risposta agli errori o i fallimenti senza trasformarli in disprezzo per noi stessi.

Se impariamo ad osservarci con gentilezza potremmo accorgerci della natura mutevole delle cose e scoprire che successi e fallimenti vanno e vengono. Senza definire il nostro valore. La compassione verso noi stessi toglie ossigeno al continuo chiacchiericcio severo che intratteniamo con noi stessi, smantella l’autocritica costante. Ci permette di risanare gradualmente le ferite emotive lasciate dal senso di inadeguatezza. Ci permette di sentire affetto per noi, a prescindere dai nostri risultati o dai nostri successi. Potrebbe portarci a dire a noi stessi: “ti vedo, ti voglio bene, e non ti cambierei di una virgola!”.

 

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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