La morsa di questo timore io la riconosco nei pensieri che affiorano veloci dentro di me quando non arriva un’approvazione, nel silenzio rancoroso e punitivo che mi ricorda quello che ricevevo da bambina in risposta a qualche mia protesta. Ancora oggi ci sono silenzi che vivo con sospetto: avrò fatto qualcosa che non va? avrò sbagliato qualcosa? avrei dovuto fare qualcos’altro?
Nelle storie che ascolto nella stanza della terapia emerge spesso questa paura, sommersa dal desiderio di far felici gli altri cosi poi siamo felici anche noi, dal desiderio di dover fare bene ciò che dobbiamo fare, nella fatica di dire di no alle richieste degli altri perché altrimenti ci sentiremmo in colpa.
Siamo molto sensibili all’approvazione e alla disapprovazione e cresciamo spesso nel perimetro che disegna la possibilità di poterle ricevere oppure no.
Ad esempio, per paura di causare dolore ai nostri genitori, di perderli, di non essere più i figli ideali (per loro) possiamo diventare compiacenti, nascondere la nostra vera natura, evitare di scoprirla, giocare il ruolo del figlio diligente, autonomo, accomodante. Finiamo per essere bravi, cosi da essere amati e amabili, ci guadagniamo un senso di sicurezza, attendiamo anche noi che arrivino i riconoscimenti promessi e -senza accorgercene- possiamo correre il rischio di perdere noi stessi. Di scoprire chi vogliamo essere per noi, sperimentando cosa ci aiuta a sentirci e diventare noi stessi.
Imparare a relazionarsi con le aspettative
Potremmo pensare allora che amare, da genitori, da partner o da amici, significhi non nutrire alcuna aspettativa nei confronti degli altri, semplicemente accettarli cosi come sono, amarli incondizionatamente.
Vorrei dire che sia possibile ma credo non lo sia.
Forse possiamo tenere a bada le aspettative o non esprimerle ma è impossibile non averne alcuna: che un figlio si comporti in modo educato, che non ci faccia fare brutta figura, che ci ascolti, che si faccia benvolere dai coetanei, che sia felice e appagato da quello che fa nella vita, che sia onesto, che si sappia prendere le sue responsabilità, che non diventi un senzatetto, che quando sceglie uno sport non cambi idea dopo la seconda lezione. Che il nostro partner ci capisca, sia rispettoso, che ci lasci liberi, che ci incoraggi quando siamo in difficoltà, che si ricordi quello che gli abbiamo detto la sera prima.
Non possiamo non avere alcuna aspettativa, possiamo imparare a riconoscerle perché non prendano spazio nella relazione senza la nostra consapevolezza.
Possiamo esplicitarle, possiamo incontrarle per quello che sono: un prodotto della nostra mente, il nostro desiderio che le cose vadano in un modo conosciuto e piacevole per noi.
Possiamo allenare la curiosità di scoprire come potremmo essere, come siamo già alleggerendoci dal peso delle aspettative che abbiamo su di noi?
E cosa potremmo scoprire di chi ci sta vicino se ci allenassimo a guardarli con la curiosità di scoprire come sono adesso, spogliandoci delle aspettative che abbiamo rispetto a come dovrebbero essere per noi?
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