In questi mesi sto imparando a disimpegnarmi, ovvero a fare le cose di sempre, quelle che devo fare, scorgendo la possibilità di risparmiare energie: mi sono chiesta come le uso, come le sperpero, come mi appesantisco e come mi sottraggo momenti di leggerezza, di cui tutti abbiamo tanto bisogno in questi tempi complessi. Sto facendo tante scoperte mentre mi avvicino alle cose con più semplicità, senza l’emergenza, la pressione e la gravosità del senso di responsabilità.
Passiamo la maggior parte del nostro tempo assorbiti dal nostro senso del dovere e della responsabilità. A quante richieste esterne rispondiamo ogni giorno nei ruoli che ricopriamo? Al contempo siamo anche sensibili alle nostre richieste interne: vogliamo dare il meglio, fare bene, dimostrare il nostro valore attraverso quello che facciamo.
C’è spesso una qualità di sforzo e di fatica nel sostenere il peso delle responsabilità. Una fatica che ci toglie spesso il respiro, ci fa rimanere col fiato corto, stressati.
Molti dei nostri disagi nascono dal tener duro per farcela, comprimendo una buona parte della nostra vitalità e del gusto di vivere.
Dall’attenzione preoccupata alla mente del principiante
Quando siamo attivati a fare, nelle nostre performance quotidiane guidati dal senso del dovere, prestiamo alla nostra esperienza prevalentemente un’attenzione preoccupata per cavarcela al meglio, per difenderci dall’imprevisto: l’ansia e la rabbia arrivano quando siamo impegnati a difenderci o lottare per raggiungere i nostri obiettivi.
Invece, quando siamo intenti a giocare, a divertirci, immersi in un’esperienza piacevole attiviamo una qualità di attenzione che è più aperta, più distesa: diventiamo più disponibili ad accogliere con leggerezza una gamma di sensazioni più ampia. Ci diamo il permesso di sentire. Quando siamo pienamente presenti e immersi in quello che facciamo torniamo a funzionare come i bambini: con la nostra mente del principiante ci facciamo guidare dai nostri sensi e dalle nostre sensazioni emotive per sapere dove stiamo bene e quando siamo felici.
Quanto tempo della nostra giornata trascorriamo utilizzando la nostra attenzione preoccupata -con le pressioni e tensioni che ne derivano- e quanto tempo dedichiamo a giocare, riposare, divertirci e godere?
Quando abbiamo iniziato ad imparare a fare i bravi bambini, dimenticandoci di sentire cosa ci piace e come stiamo quando siamo felici?
Nelle storie che incontro nella stanza della terapia, il senso del piacere è spesso attutito, assottigliato dal disagio che le persone portano. All’inizio è normale, certo, ma durante il percorso non è raro dover costatare che quella con il piacere è una relazione complicata.
E cosi, spesso ci impegniamo a dissotterrare i momenti in cui le persone si sono sentite vive, vitali, intere. E accade sempre, ad un certo punto del percorso, dopo aver colto il senso del disagio, che ci chiediamo come fare spazio alla nostra vitalità, al senso del piacere, e alla leggerezza. Perché è sempre questo il desiderio più profondo che ci porta nella stanza della terapia: sentirci bene, sentirci e rimanere vivi e interi mentre attraversiamo i momenti critici della nostra vita.
Recuperare la leggerezza
Cos’è che ci aiuta allora a sgravarci dai pesi che ci portiamo dentro? cos’è che ci permette di dare proporzione al senso del dovere e della responsabilità, bilanciandolo con quello del piacere?
Mi sento di dire che sia la possibilità di fare spazio a tutte le parti di noi, prestando attenzione alle emozioni che attirano maggiormente la nostra attenzione e imparare a regolarle, cosi da fare spazio anche alla gioia. L’altro giorno una ragazza inizia il colloquio dicendomi che non sapeva di cosa parlare durante la seduta perchè non sa mai cosa dire quando non ha problemi. Abbiamo lavorato a lungo per sgomberare il campo dal suo disagio e dal suo problema, ma poi chi siamo quando non siamo sotto pressione per le nostre difficoltà?
Recuperare la leggerezza allora vuol dire prenderci cura delle nostre parti sane, senza permettere che la nostra attenzione sia rapita solo dalle nostre parti “malate” o a disagio.
Significa non tanto uscire saltuariamente dagli schemi ma allenarci a portare un’attenzione curiosa e aperta al modo con cui entriamo in relazione con le nostre energie: tendiamo a sforzarci? tendiamo a mollare facilmente e desistere?
E’ coltivare l’intenzione di riappropriarci di quella parte bambina che rischiamo di trascurare. E ricordarci che, quando prevale il senso della fatica, si riduce lo spazio della gioia e della nostra vitalità. Possiamo fermarci a chiederci: come mi appesantisco? come posso respirare dentro questa fatica?
Risposta dopo risposta potremmo imparare ad ammorbidirci e allenarci a lasciare andare, ritrovando il gusto di assaporare la vita senza la necessità di doverla controllare. Non cambieranno le scocciature che incontriamo nella nostra quotidianità, cambieremo noi.
I prossimi percorsi di libroterapia e di mindfulness hanno questa intenzione: aiutarti a coltivare la leggerezza che nasce dal fare amicizia con noi stessi cosi come siamo.
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