Forse capita a tutti noi di trovarci a pensare e ripensare a qualcosa nelle nostre giornate. In genere sono pensieri su esperienze che non abbiamo digerito o su qualcosa che riguarda il futuro e genera incertezza. Cosi, pensare diventa una vera e propria ruminazione che facciamo nella speranza di poter trovare soluzioni, di poter comprendere, di riuscire a prevedere come andranno le cose, di poterle controllare, di trovare una quadratura, almeno con la logica.

Nelle scorse settimane mi sono trovata spesso distratta da un pensiero che ha risucchiato molte delle mie energie: un evento spiacevole mi ha fatto incontrare un senso di dispiacere, scoraggiamento, stupore, vergogna.

Ho riflettuto sull’accaduto prima di sceglier cos’era in mio potere fare rispetto alla situazione, ma niente, con il pensiero mi ritrovavo spesso li: una parte di me, quella che voleva capire, sgomitava per guadagnarsi tutta la mia attenzione, mentre un’altra parte di me desiderava solo essere confortata.

Forse a volte abbiamo bisogno di lasciare andare il pensiero, confortando le emozioni a cui si intrecciano.

Come distinguere la riflessione dal pensare troppo

Spesso confondiamo il pensare troppo con la capacità di essere razionali, riflessivi, ponderati nelle valutazioni ma sono cose proprio diverse.

La riflessione è uno spazio in cui mettiamo a fuoco i pensieri per avere la consapevolezza su come andare in azione.

La ruminazione è un pensiero che gira su se stesso, ristagna, si agita e salta da una cosa all’altra, e infine rimane sfocato. Soprattutto, ci impedisce di verificare attraverso l’esperienza se ciò che abbiamo pensato è una fantasia oppure una saggia intuizione.

La riflessione ci mantiene aperti e in relazione a ciò che stiamo vivendo, permettendoci di avanzare nella comprensione, di passare all’azione e imparare.

Invece pensare troppo, rimuginare è un’attività che ci affloscia su noi stessi, spesso in un tentativo di trovare l’errore o schivarlo in futuro; ci fa rimanere immobili e qualche volta isolati dagli altri. Direi che quando rimuginiamo ci perdiamo perché diventiamo un po’ sofisti, ovvero finiamo per dimostrare tutto e il contrario di tutto con la logica, perdendo un ancoraggio interno a noi stessi.

 

Perché finiamo per pensare troppo

Ma perché finiamo per ristagnare cosi tanto nel pensare, ragionare, pianificare, spiegare?

Lo facciamo per tenere a bada ciò che sentiamo fuori dal territorio della razionalità, che per qualche ragione consideriamo governabile. Confidiamo molto nella nostra testa perché conoscere ci permette di sentirci potenti ed efficaci in questo territorio; al contrario, fuori di li, nel regno delle emozioni e delle azioni spesso ci sentiamo impacciati. In ansia, sarebbe più giusto dire.

Cosi, proviamo a governare alcune esperienze con la logica, e spesso ci lasciamo rapire dal desiderio di capire, di gestire, ci promettiamo di andare in azione solo quando saremo sicuri di poter fare bene, di non incorrere in un errore.

Ma cosa evitiamo quando ci ostiniamo a capire e vogliamo risolvere la nostra vita come un quesito matematico? Ci sottraiamo alla possibilità di sentire.

Se quello che dobbiamo fare o abbiamo vissuto ci mette in contatto con un’emozione difficile incontriamo un’emozione spiacevole: cosi, il pensiero diventa un rifugio in cui cerchiamo riparo, sicurezza, certezze. 

Come smettere di pensare troppo

Adesso lo so che ti stai chiedendo come fare a “smettere” di pensare troppo: forse lo chiede quella parte di te che -dopo aver capito- vuole trovare una soluzione?

Forse non ci è possibile controllare i nostri pensieri, né liberare la mente, ma possiamo imparare a cambiare la relazione con i nostri pensieri.

Ad esempio può esserci utile imparare a etichettare i pensieri (labeling) o fare una vera e propria notazione mentale (mental noting): possiamo iniziare semplicemente trovando una sola parola per descrivere ciò che stiamo sperimentando nel momento presente (un pensiero, una sensazione fisica o emotiva). È un esercizio utile perché le annotazioni sono “parole per fotografare l’esperienza”; ci permettono di farlo in un modo non discorsivo e senza giudizio. Prova, se ti va. Nella pratica di mindfulness lo facciamo spesso per dare un ancoraggio alla mente e ci accorgiamo che il suo vagare da una cosa all’altra diminuisce.

Se riuscissimo ad essere dei genitori affettuosi con noi stessi, forse non ci chiederemmo di smettere di pensare troppo. Ci impegneremmo ad offrire ascolto e attenzione a tutte le parti di noi e, con gentilezza, troveremmo un modo affettuoso per portarci fuori, nel mondo, nelle nostre relazioni, a fare. A mettere più energie nella vita, che ci aspetta fuori dalla nostra mente.

Se vuoi continuare ad approfondire questo tema lo facciamo insieme, nell’appuntamento gratuito di questo mese su Zoom. Ci troviamo il 24 febbraio alle 19 e parliamo di come cavarcela quando ci sentiamo troppo razionali o troppo emotivi. Se vuoi raggiungerci, puoi iscriverti qui.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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