Sono tornata da poco dalle giornate intensive che conduco al termine dei percorsi di gruppo: sono momenti rigeneranti in cui sperimentiamo una qualità di riposo e di intimità che nella nostra routine non è cosi facile sperimentare. Le partecipanti continuavano a dire che sembrava loro di essere li da una settimana ed invece erano solo due giorni: quando siamo presenti e attenti a noi stessi il tempo sembra dilatarsi.

In questo periodo dell’anno spesso iniziamo ad accusare il colpo, a sentirci stanchi, sovraccarichi, affaticati fisicamente e mentalmente, e cosi può capitarci di reagire peggio allo stress. Ci sentiamo più sonnolenti, facciamo fatica a ritrovare quell’entusiasmo che ci aveva tanto caricati all’inizio dell’anno e che ora sembra aver lasciato il posto al desiderio di una vacanza.

È normale sentirsi stanchi dopo uno sforzo fisico o emotivo ma come facciamo a capire che è un segnale fisiologico “normale” e passeggero?

Come possiamo distinguere se la stanchezza è solo un segnale di affaticamento per invitarci a cambiare ritmo e rallentare o non sia invece una conseguenza di qualcos’altro?

Non svalutare la stanchezza: osservala

La stanchezza è un segnale che spesso sottovalutiamo, anzi è un malessere socialmente accettato: avere una vita molto impegnata è ritenuto un segnale di successo e l’assenza di tempo libero ormai è cool, come sottolinea uno studio condotto dalla collega Silvia Bellezza. 

E invece è un segnale da osservare attentamente, senza drammatizzare e senza svalutare. Possiamo dare attenzione alla nostra fatica per scoprire di cosa abbiamo bisogno e per avvicinarci a rispettare le nostre risorse, senza sfidarle. Accorgerci della stanchezza ci permette di riconoscere che il nostro corpo sta consumando più energie di quelle che riesce a recuperare e quindi già questo può essere il primo passo per tornare a noi stessi, attraverso un’attenzione affettuosa al corpo

La stanchezza ci invita a rallentare, a cambiare il ritmo, a fermarci. Se la ascoltiamo e ci riposiamo procurandoci il ristoro di cui abbiamo bisogno, in genere scompare.

Al contrario, se non ci prendiamo momenti di recupero e continuiamo a lavorare tirando avanti e stingendo i denti, guidati dal senso del dovere, allora iniziamo a logorare le nostre risorse: può capitarci di sentirci sempre più tesi, deboli, già stanchi al risveglio, con continui mal di testa, difficoltà a concentrarsi e un umore altalenante. 

La stanchezza che accumuliamo diventa cronica, e può diventare il segnale di un malessere fisico o emotivo che ha radici altrove. Alcuni episodi di ansia o depressione attecchiscono proprio in questi momenti o in alcuni casi la mancanza di energie è un sintomo che ci aiuta a riconoscerli. In questi casi, noi proviamo a riposare ma niente, la stanchezza non passa. 

 

Non tutti i disagi sono psicologici 

Sembra banale ma non lo è: la prima cosa importante da fare in questi casi è escludere che si tratti di un problema di natura fisiologico, facendo appositi accertamenti medici.

Quando stiamo male tendiamo a polarizzare la nostra attenzione alla ricerca delle cause: a volte cerchiamo affannosamente dati medici che spieghino il nostro malessere escludendo del tutto la dimensione psicologica; altre volte, al contrario, eccediamo nell’eccesso opposto: pensiamo che sia solo un po’ di stress, ci diciamo che stiamo somatizzando. Ci etichettiamo sollevandoci dalla responsabilità di occuparci di noi dando importanza al malessere psicologico.    

Quindi, per procedere con cura, dobbiamo prima verificare che la nostra mancanza di energia e il nostro affaticamento non sia conseguenza di una carenza fisiologica del nostro organismo.  Poi, se i dati medici non registrano alcuna alterazione, possiamo affrontare dal punto di vista psicologico la nostra stanchezza fisica, mentale ed emotiva cosi da scoprire come rispondere a ciascuna di queste sfumature.

 

Cosa copre la stanchezza?

Infine, possiamo incuriosirci di cosa sta raccontando il nostro corpo, rispetto a come funzioniamo nella nostra interezza. Come stiamo dissipando energie? Come ci stiamo mettendo sotto pressione? Cosa potremmo rischiare di pensare o sentire dentro di noi se potessimo fermarci e ascoltarci?

A volte dire di essere stanchi è l’unica cosa che possiamo permetterci di raccontare senza vergogna perché troviamo facilmente sostegno e comprensione. Ma qualche volta questa stanchezza copre un senso di insoddisfazione o di paura che hanno radice altrove e dirci affaticati è il tappo che mettiamo per proteggerci, per non vederci (e farci vedere) in profondità. 

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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