Si dice che per stare bene sia necessario accettare se stessi ma spesso questa espressione suona perlopiù come una frase fatta perché la verità è che ciascuno di noi fa fatica ad andarsi del tutto bene cosi com’è. Ho affrontato questo tema in un episodio del podcast che trovi quassù e torno qui per approfondirlo grazie anche ai vostri commenti che hanno fatto da eco alle cose dette. Una di voi mi scrive:

Per me accettarmi fisicamente è dura perché il mio aspetto non mi piace. Non mi riconosco quando mi guardo allo specchio e spesso evito proprio di farlo. Accettare il mio corpo mi sembra come rassegnarmi al fatto che è cosi e smettere di cercare di cambiarlo. E non voglio. (C. M)

Quest’immagine dello specchio evitato dell’ascoltatrice mi è sembrata quanto mai incisiva, e non era la prima volta che la ascoltavo nelle narrazioni dei miei clienti. Perché la questione dell’accettazione secondo me ha molto a che vedere con l’esperienza che abbiamo fatto degli sguardi. E lo specchio riflette un’immagine, proprio come lo sguardo degli altri. In effetti, se ci pensiamo, siamo a disagio e sperimentiamo vergogna proprio quando un aspetto di noi riceve uno sguardo di disappunto, di critica o disapprovazione. Lo sguardo degli altri certo, ma soprattutto il nostro. 

Penso che se chiedessi a dieci persone se gli piace il loro corpo, la maggior parte di loro mi risponderebbe con imbarazzo e un velo di disapprovazione, che c’è qualcosa che proprio non amano. Se ci fosse abbastanza confidenza probabilmente passerebbero a scandagliare il loro corpo riferendo difetti che agli occhi esterni sono spesso inesistenti.

Molte persone ad esempio preferiscono non vedersi nude o parzialmente scoperte, così si nascondono sotto infiniti strati di indumenti ed evitano di guardarsi allo specchio. Altre si nascondono dietro una routine imbottita di attività e di ruoli, che apparentemente sembra tutta un’altra storia, ma forse non lo è perché dietro c’è sempre una difficoltà a guardare e lasciare vedere qualche aspetto della nostra vita.

Ma torniamo a noi: da cosa dipende allora la nostra capacità di accettarci cosi come siamo? In parte dalla qualità degli sguardi che abbiamo ricevuto. Se lo sguardo che abbiamo ricevuto è stato prevalentemente di valutazione, potremmo avere una relazione molto severa con noi stessi e finire per pensare ad ogni occasione che “non andiamo bene finché...”non cambiamo qualcosa. Questa esperienza si accompagna alla vergogna, al senso di inadeguatezza e di insoddisfazione. Se invece gli sguardi che abbiamo ricevuto sono stati prevalentemente accoglienti ed esprimevano piacere, è tutta un’altra storia: ci è più facile sostenere lo sguardo degli altri ed essere gentili con noi stessi.

 

Accettare è imparare a sostenere lo sguardo

Per questo mi pare di poter dire che accettarsi significa imparare a sostenere lo sguardo, su quegli aspetti che non ci piacciono, e permetterci di toccare delle emozioni sgradevoli dentro di noi. Cosi, iniziare a guardarsi allo specchio significa potersi riappropriare di una parte di noi che escludiamo dal nostro sguardo, per evitare la nostra valutazione e tutte le emozioni collegate. E invece sarebbe interessante poter imparare a fermarsi per chiedersi: cosa dice quell’aspetto di me oggi? Cosa racconta del mio cambiamento e del mio percorso fin qui?

Penso che le persone arrivino in terapia – ed io stessa ho iniziato tutti i miei percorsi di terapia e di cambiamento – tutte le volte che hanno energie sufficienti per sostenere quello sguardo. Quello del terapeuta in questo caso, ma prima ancora il nostro. Avvicinarsi allo specchio allora -anziché evitarlo- vorrà dire che posso incontrare la mia vergogna, o qualsiasi emozione sottostante, e iniziare a darle un nome. Quando le emozioni escono dall’anonimato smettono anche di essere molto interferenti; spesso iniziano a diminuire d’intensità e noi impariamo ad utilizzarle come dei segnali stradali che ci portano dove abbiamo bisogno di andare.

Ma allora ,qual è l’ostacolo più grande a questo incontro a viso aperto con le parti di noi che non ci piacciono? Il nostro modo di giudicarci severamente.

Trovare uno sguardo più gentile

C’è un momento in cui iniziamo a sostenere lo sguardo: quando siamo riusciti ad ammorbidire il giudizio, quando abbiamo imparato a parlare a noi stessi in modo più affabile. Non è un darsi una pacca sulla spalla perché c’è sempre qualcosa di peggio della nostra situazione, no. E’ piuttosto un iniziare a considerare, e sentire, che il nostro valore, la nostra possibilità di essere desiderabili, piacenti ecc.. non è strettamente legato a quell’aspetto che non ci piace. In altre parole facciamo esperienza che “andiamo bene come persone anche se…” non siamo abbastanza magri, forti, decisi ecc… Ora, se siamo arrivati fino a qui, siamo già cambiati: è cambiato il nostro atteggiamento verso gli aspetti che non ci piacciono.

Perché e quando cambiamo

Il cambiamento secondo me è pigro ed esigente al tempo stesso: ha bisogno di ottime motivazioni per realizzarsi e di parole precise che lo descrivono. Ho pensato a questo leggendo questo commento di un’ascoltatrice:

Ho problemi di insicurezza e questo mi fa stare a disagio e nervosa quando sto con gli altri. Vorrei essere più sicura e decisa quindi vorrei cambiare. In questo caso che vuol dire accettare la propria insicurezza? (L. S.)

Io non so cosa voglia dire per questa persona essere insicura perché ci vorrebbero più parole, e più precise, per scoprire quando si sente insicura, e soprattutto, in che modo questa insicurezza per lei diventa un problema. Penso che a volte vogliamo cambiare per motivazioni che non ci appartengono cosi profondamente da mobilitare un cambiamento. A volte la nostra lista di buoni propositi è piena di desideri di cambiamenti che abbiamo imparato a desiderare “devo imparare ad essere meno perfezionista”, “devo mettermi a dieta”, “devo cercare un lavoro migliore, dopo quello che ho studiato” ecc… . Ma qual è la leva che muove questi desideri? Cosa ci spinge in quella direzione? Un invito a fare meglio, a darci dentro e fare tutto perfettamente?

I desideri di cambiamento che assomigliano a delle sgridate di genitori esigenti ci invitano ad adattarci a dei modelli fuori di noi. Il cambiamento per realizzarsi ha bisogno di un bambino libero, dentro di noi, che scopre di cosa ha bisogno.

E adesso, dimmi: qual è l’aspetto di te più difficile da accettare? Cosa ti diresti se ti osservassi con lo sguardo di una persona che ti vuole bene? Pensaci e raccontamelo se ti va, oppure commenta, condividi e raccontaci se quali spunti ti sono stati utili di questo post o della puntata del podcast: è sempre arricchente ascoltare le vostre esperienze!

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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