Comunichiamo sempre, ma non sempre lo facciamo con consapevolezza. Cosi, ci sono parole che creano distanza e parole che coltivano l’intimità.

Nei percorsi di coppia spesso osservo scambi fra partner che alimentano le incomprensioni, muri di silenzio difficili da scongelare, e anche la possibilità di ritrovare parole potenti, di quelle che sanno arrivare dritte al punto: creano contatto e comunicano il fatto di essere differenziati. Nel contenuto possono essere spiacevoli ma nel modo con cui mettono in relazione sono autentiche e si riconoscono perché non intrappolano in vecchie storie e ripetitivi cliché, né chi parla, né chi ascolta. Sono nuove perché nascono dall’esperienza di quel momento, mentre si sta in relazione. Ci sono parole fresche e riflessive che nascono da uno sguardo consapevole a noi stessi e ci sono parole reattive che ci cristallizzano sempre dentro le solite storie su noi stessi e sull’altro (“io sono sempre disponibile/tu sei egoista”, “io sono cosi, tu sei sempre colì”).

Per questo motivo è importante poggiare l’attenzione su come comunichiamo nelle nostre relazioni più significative, a partire da quelle di coppia che sono il luogo in cui possiamo sperimentare le più grandi sofferenze ma anche le più grandi gioie, quando facciamo l’esperienza di essere visti, farci vedere e dire la verità rispetto a quello che sentiamo.

In questo post iniziamo a vedere tre cose che non ci aiutano a comprenderci e stabilire un clima di fiducia, e poi anche tre attenzioni che possiamo mettere in pratica per comunicare in modo più intimo con il nostro partner, cosi da favorire una maggiore intimità.

 

,Cosa non ci aiuta a comunicare in modo intimo con il nostro partner:

  1. La prima cosa che crea distanza nella relazione è recriminare, attaccare, accusare, criticare ovvero usare un tipo di comunicazione che tende a puntare il dito verso l’altro ed usa il tu accusatorio (tu sei sempre disordinato/ non tieni mai conto di me/ sei sempre critico ecc…). Questo modo non funziona perché nel contenuto esprimiamo una valutazione o un giudizio sull’altro, spostiamo l’attenzione da noi al nostro interlocutore e lo invitiamo a difendersi. Cosi, molto velocemente, realizziamo uno scenario di attacco-difesa che non predispone alla vicinanza e alla possibilità di ascoltarci per comprenderci. Ci catapultiamo in una comunicazione reattiva in cui prevale l’interesse a definire di chi ha ragione o di chi è la responsabilità rispetto a quello che sta succedendo.
  2. Un’altra cosa che crea interferenze nel nostro modo di comunicare è la tendenza ad attribuire all’altro la responsabilità di quello che sentiamo: ad esempio “Tu mi fai arrabbiare/ mi fai sentire male/ mi fai sentire una nullità” ecc… Anche se il nostro sentire è spesso connesso ad un comportamento dell’altro, quello che sentiamo e le nostre emozioni riguardano noi e il nostro modo di rispondere a quello che è successo perché, anche se viviamo una relazione di coppia, non siamo vasi comunicanti: ognuno di noi è responsabile di quello che sente e ce ne possiamo prendere cura solo poggiando lo sguardo su di noi.
  3. Infine, un’ultima cosa che non aiuta è tacere, trincerarsi, evitare di dire e fare spallucce: non funziona perché è un modo di comunicare una difficoltà affidandola ai gesti o attraverso la rinuncia. Apparentemente sembra un modo meno tossico rispetto a quello di usare parole che creano conflitto ma in realtà non-dire coltiva una distanza che qualche volta diventa difficile colmare. Cosi, anche se il contenuto di quello che vogliamo dire a volte è spiacevole, è importante imparare a “dirlo con le parole”.

 

Cosa ci aiuta a comunicare in modo più intimo allora?

 

Ma quali parole allora ci aiutano a raccontarci in profondità e dirci la verità, anche quando è spiacevole?

Vediamo due accortezze che possiamo allenarci a mettere in pratica:

  1. la prima cosa utile è imparare a comunicare a partire da quello che pensiamo e sentiamo noi: inizia a comunicare usando frasi che iniziamo con un io descrittivo. Ad esempio Io penso, Io sento, Io voglio o qualsiasi espressione che sia espressa in prima persona. Dire “Mi sento trascurata” è molto diverso dal dire “tu mi trascuri“: nel primo caso descrivo il mio vissuto senza formulare nessuna accusa, nel secondo caso collego un comportamento al significato di trascuratezza e affido all’altro la responsabilità delle mie emozioni. Comunicare riferendo la nostra esperienza soggettiva, quella che riguarda le nostre emozioni, i nostri pensieri o le nostre intenzioni  è un modo autentico di definirci nella relazione, prendendoci la responsabilità di ciò che riferiamo. La nostra esperienza non è sindacabile: chi può sapere meglio di noi cosa sentiamo? chi può conoscere in modo più preciso cosa stiamo pensando proprio in questo momento?
  2. la seconda accortezza utile è incuriosirci della prospettiva dell’altro, aprendoci ad accogliere anche i suoi significati rispetto all’esperienza. Accogliere la narrazione dell’altro dal proprio punto di vista ci aiuta ad aprire la conversazione anziché arrivare a conclusioni che non lasciano nuove possibilità; fare domande che ci aiutano a saperne di più del mondo interno dell’altro, ci aiuta a scoprire cosa vive l’altro e questo crea appunto una possibilità di connessione.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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