Quando incontro un nuovo gruppo che inizia un percorso, i primi minuti sono dedicati alla presentazione dei partecipanti, un momento in genere sempre un pochino ansiogeno: è complicato rispondere alla domanda “Chi sei?“, figuriamoci in pochi minuti e davanti a sconosciuti. Cosi, nei gruppi di mindfulness e di libroterapia di questa settimana, ho chiesto loro di dire qualcosa di se stessi ad un compagno di percorso, facendo attenzione a che fosse “fresco di giornata”. L’ho fatto per stemperare l’ansia e per non rifugiarci nei soliti cliché con cui ci presentiamo mettendoci addosso etichette vecchie e ripetitive, spesso relative prevalentemente a cosa facciamo.

Anche nelle nostre relazioni più intime possiamo correre lo stesso rischio: rifugiarci in comunicazioni rituali e fare confusione tra scambiare informazioni e comunicare in modo intimo.

Comunicare ed essere intimi, due cose che non coincidono

Spesso pensiamo che per vivere serenamente in coppia sia necessario comunicare molto e saper scendere a compromessi: quante volte ce lo hanno consigliato, nei momenti in cui eravamo in difficoltà? Io non sono molto convinta su entrambe le questioni, o meglio: dipende. Dipende da quello che ci raccontiamo e dalla postura con cui affrontiamo i compromessi. Ma di quest’ultima cosa magari ne parliamo un’altra volta.

Le nostre relazioni affettive sono i contesti in cui sperimentiamo una maggiore intimità, dove quando ci innamoriamo ad esempio, ci sentiamo più belli e scopriamo degli aspetti di noi che non conoscevamo perché l’altro li ha intravisti e ce li ha rivelati. Ma sono anche i contesti in cui ci scopriamo più vulnerabili e dove sentiamo più forte la paura di essere feriti. Sono le relazioni in cui mettiamo in atto le nostre difese che ci portano a nasconderci, anziché rivelarci.

Quindi il punto non è tanto fare attenzione a dirsi molto ma portare più consapevolezza su cosa ci diciamo: quanti scambi sono passaggi di informazioni e quanti momenti sono intimi e radicati nella curiosità e nel senso del piacere?

Raccontare la novità della nostra esperienza

Cosa ci raccontiamo insomma fa la differenza. Non tanto i primi mesi ma più in la, quando ormai pensiamo di conoscerci e presumiamo di sapere un sacco di cose sull’altro.

In quei momenti, quanto ci manteniamo curiosi della vita dell’altro, di ciò che sente, di come sta cambiando ogni giorno un pochino? E quanto comunichiamo noi il nostro mondo interiore di adesso? Questo genere di presenza è quella che ci aiuta a sentirci visti e ci mette in salvo dalla paura di essere invisibili. 

È anche il livello di scambio che temiamo di più: cosa succede dentro di noi se scopriamo che il cambiamento dell’altro non ci piace? cosa accade se incontriamo la disapprovazione per i nostri cambiamenti e comportamenti proprio da parte della persona che amiamo?

Forse l’intimità sbiadisce proprio quando iniziamo a tacere e smettiamo di rivelarci, quando ci affidiamo alle etichette del passato e alle cose che presumiamo di sapere già dell’altro. Quando iniziamo silenziosamente a difenderci, senza lasciarci vedere.

Possiamo riannodare il filo quando ce ne accorgiamo, ricominciando ad essere intimi con noi stessi: cosa possiamo raccontare di noi, fresco di giornata, se non ci siamo frequentati e se non ci siamo fermati a sentirci? Comunicare all’altro questa novità è il passo successivo. Ho dedicato un intero audiocorso di Sintonia a questo tema e a fine mese, ci incontreremo su Zoom nel nostro appuntamento mensile riservato agli iscritti alla newsletter per andare più in profondità. In particolare ci chiederemo: Come trovare le parole giuste per comunicare meglio in coppia? Ti aspetto li, per trovare la risposta insieme.

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Psicologa delle relazioni interpersonali. Amo accogliere e accompagnare verso il cambiamento le persone che attraversano un momento critico.

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