Due delle vostre esperienze lo confermano: distrarci -di proposito o in automatico- è un’esperienza che facciamo per cercare sollievo ma non funziona sempre:
Io quando sono in ansia provo in tutti i modi a distrarmi altrimenti mi agito ancora di più perché diventa un pensiero fisso che non mi lascia in pace. (M. M)
Io quando sono agitata passo da una cosa all’altra, divago, e mi piacerebbe trovare un modo per fermare la testa; ma come si fa? (R.D.)
Perciò mi sembra utile capire come possiamo distinguere due situazioni molto diverse: quando la distrazione ci è utile per dare proporzione a ciò che sentiamo? E quando invece è un meccanismo per evitare di fare i conti con quello che stiamo vivendo? Tu hai già trovato un modo per distinguere?
E’ utile saperlo fare perché, nel primo caso, poggiare la nostra attenzione su qualcosa di diverso rispetto a ciò che di intenso sta accadendo dentro di noi, può essere un atteggiamento protettivo; nel secondo caso può rivelarsi una strategia che ci procura un sollievo temporaneo e poi, subito dopo, qualche effetto controproducente.
Quando la distrazione da quello che sentiamo è un boomerang
Di recente ho ascoltato l’esperienza di una persona che è ipersensibile al pianto della figlia; ha sviluppato una tale insofferenza che, nel tempo, le ha provate tutte: isolarsi con delle cuffie, intervenire subito per bloccare il pianto con ogni espediente, e anche distrarre la bambina con altre soluzioni molto creati. . In questo caso, distrarre se stesso (isolandosi con le cuffie) o distrarre la bambina non funzionava e questo lo metteva sempre in allerta rispetto alla possibilità che la bambina piangesse.
In questo caso, distrarsi e distrarre la bambina da ciò che stava sperimentando non è servito a dare proporzione alle emozioni (il pianto della bambina e cosa procura dentro nel genitore presente) ma è, un modo per andare via da quelle sensazioni. Questo esempio è paradigmatico perché le conseguenze sono che la bambina strepita sempre di più e il genitore si mobilita cercare sempre nuove strategie per prevenire il pianto o per interromperlo. Evitare di ascoltare il pianto della bambina (e quello che innesca nel genitore) di fatto peggiora la situazione perché quando non ci sentiamo ascoltati tendiamo a gridare più forte. I nostri bisogni gridano più forte.
La fregatura della distrazione è che ci promette sollievo andando fuori dall’esperienza. E invece sarebbe utile scoprire come puoi trovare sollievo, conforto e protezione anche dentro di te.
Se ci succede questo in automatico, e iniziamo a renderci conto che tendiamo a distrarci, può essere utile fermarci e chiederci: cosa temo di incontrare se mi fermo in quell’esperienza?
Quando la distrazione produce una sana distanza da ciò che sentiamo
Adesso vediamo quando distrarsi invece può essere utile, perché ci sono delle esperienze in cui sapersi distanziare è prezioso. Ad esempio, quando siamo troppo coinvolti, concentrati e avviluppati nella risoluzione di un problema da non avere quella sana distanza dall’esperienza che ci permette si scegliere, in uno stato di calma. Se siamo in ansia, in preda ad un attacco di panico non è utile concentrarci, focalizzarci ulteriormente sulle sensazioni del corpo ad esempio. In quel momento, quando il sistema è troppo attivato non è utile, anzi sarebbe davvero controproducente rimanere dentro l’esperienza. Oppure, per rimanere con l’esempio precedente della bambina che piange, se il pianto diventasse una lagna prolungata, e quel genitore ha provato adopo ascoltata a fondo e non riusce a capire di cosa ha davvero bisogno, allora sostare tanto in quell’emotività, in quel momento, non è utile.
Spostare l’attenzione in alcuni momenti, con consapevolezza, è utile per abbassare il livello di tensione, di attivazione emotiva. Ci può servire per ripristinare la calma che ci permette di scegliere ed occuparci di noi e degli altri.
Come scegliere cosa è utile fare
Il primo passo per valutare se la distrazione che ci stiamo procurando è protettiva o è piuttosto un evitamento è accorgerci di quello che stiamo sentendo. Per rispondere all’ascoltatrice che chiede “Come si fa a fermare la testa?” dico che, prima essere interventisti e scegliere cosa “fare” (fermare la testa) è necessario fermarsi a dare importanza a ciò che accade. Prima di fermarla va bene seguirla per vedere dove va esplorando i pensieri. Se capita anche a te questa esperienza, fermati a chiederti: cosa penso quando la testa va veloce e passa da una cosa all’altra? fermati ad osservarlo. E poi, torna alle sensazioni, torna a te: di cosa hai bisogno adesso che hai osservato il panorama dentro di te? Facendo attenzione, prestando ascolto al fastidio della mente che vaga, come faresti con il pianto di un bambino, potresti accorgerti di essere preoccupata e impaurita per qualcosa, in dubbio e indecisa per qualcos’altro.
Quindi, più che dire alla tua testa “fermati e non pensare”, o alla tua pancia in subbuglio “distraiti e non sentire”, l’invito è quello di soffermarti dolcemente ad occuparti di questi pensieri e di queste emozioni: se sei spaventata impara a rassicurarti, se sei arrabbiata impara a farti presente con assertività. Insomma anziché rimproverarti ed istruirti, prova a fermarti, ad ascoltarti e occuparti di te. Imparare a consolarci ci permette di crescere, invitarci ad essere sempre forti ci indebolisce.
E adesso dimmi di te: quali sono le occasioni in cui distarti ti è stato d’aiuto? ne hai trovate altre in cui non pensandoci su, ti sei messo in difficoltà? Pensaci e raccontamelo se ti va, oppure commenta, condividi e raccontaci quali spunti di questo post o della puntata del podcast ti sono stati utili : è sempre arricchente ascoltare le vostre esperienze!
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